VAR

Il VAR rischia di trasformarsi in un’arma del potere

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Scritto da Diego Catalano

20 Ottobre 2025

Non è più calcio, è amministrazione del risultato. In Italia si gioca un campionato dove le regole – o per meglio dire l’applicazione delle stesse – cambiano con piglio schizofrenico. La Serie A è diventata la tenzone sportiva in cui il VAR non corregge ma indirizza, dove la discrezionalità è diventata legge. Altro che tecnologia: questo pallone è tornato al Medioevo, solo con più telecamere.

L’ultimo episodio controverso arriva da San Siro, teatro dell’ennesima decisione che insulta l’intelligenza di chi guarda. In Milan-Fiorentina, Marinelli viene richiamato al VAR per una manata veniale di Parisi su Gimenez. Un contatto minimo, quasi impercettibile, ingigantito dall’attaccante rossonero che sembra essere preso dagli spasmi epilettici dopo la carezza del calciatore gigliato. Un atto però sufficiente per assegnare un rigore e cambiare definitivamente il corso della partita che si avviava verso il pareggio. E così i Rossoneri si trovano primi in classifica, in solitaria. 

Strano che in Milan-Napoli due manate ben più nette – una sul volto – e un fallo clamoroso su Scott McTominay non valsero nemmeno un check di una quintetto arbitrale che forse dormiva. O pilatescamente non interveniva. Allora si parlò di “contatti leggeri”, oggi episodi ben più marginali, improvvisamente, diventano rigori da fischiare. Rocchi cosa dirà stavolta? Che l’intensità è relativa? Che il protocollo si piega in base a elementi esogeni che vorremmo ci fossero esplicitati una volta e per tutte? 

Il VAR rischia di trasformarsi in un'arma del potere

Perfino Luca Marelli, ex arbitro e oggi analista per DAZN, non ha potuto né voluto tacere: “Rigore Milan? Molto discutibile. C’è una mano appoggiata al volto, ma non una trattenuta perché è veramente leggerissima. A mio parere, se il rigore viene assegnato in campo si storce il naso ma lo si accetta, perché è una valutazione di campo. L’OFR è fuori dal protocollo. Abbiamo un episodio simile in Juve-Inter: Thuram tocca il volto di Bonny, ma lì il gol viene convalidato perché il contatto è stato giudicato lieve. Due episodi identici, due decisioni opposte. O si è sbagliato in Juve-Inter o si è sbagliato in Milan-Fiorentina. Per me si è sbagliato in Milan-Fiorentina”.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Gianpaolo Calvarese, altro ex fischietto: “Live ho pensato che Parisi su Gimenez fosse rigore: l’attaccante è davanti, il difensore vuole fermarlo. Ma dai replay si evince che il contatto all’altezza del collo è lieve: non era da richiamo VAR”.

Parole che pesano e che non si può far finta di non aver letto. Perché quando anche chi conosce le regole ammette che il protocollo è stato travalicato, allora vuol dire che siamo fuori controllo. Ma questa non è un’invettiva contro il Milan, sia chiaro, è la denuncia di un sistema inceppato. Perché negli ingranaggi rumorosi di questo tritacarne ci entrano, a rotazione, un po’ tutti.

Il VAR usato come leva di potere

Il VAR, con questo uso disinibito, non è più uno strumento di giustizia: è una leva di potere, usata a discrezione, senza coerenza né trasparenza. È il regno dell’interpretazione, dove ogni decisione può essere riscritta, ogni contatto reinventato, ogni episodio piegato al contesto. Dietrologia? Forse, ma sono le “giacchette nere” a dare adito al chiacchiericcio e al retropensiero. 

E così, giornata dopo giornata, la Serie A perde credibilità. Non è un problema tecnico: è un busillis culturale, sistemico, istituzionale. Perché finché il “protocollo” resterà una nebulosa interpretativa, gli arbitri avranno mano libera per decidere affrancandosi dai testi di riferimento e da una giurisprudenza ormai ondivaga. E dunque poco credibile. 

Il VAR rischia di trasformarsi in un'arma del potere

E qui arriva il punto: il vero virus del calcio italiano è “un’arbitraggite” autoreferenziale, dove tutto è giustificabile, tutto è interpretabile, tutto è discrezionale. Rocchi, il designatore, parla sovente di uniformità come stella polare da seguire, ma il campo racconta il contrario: due pesi, due misure. Se tutto va bene.

E allora basta ipocrisie: non si può continuare a parlare di “errori” quando le stesse situazioni portano a esiti opposti. Non si può invocare il protocollo quando lo si calpesta ogni domenica. Il calcio italiano è in mano a un gruppo che decide, interpreta, spesso distorce. E il VAR, invece di essere la bilancia della giustizia, è diventato uno strumento amorfo e dai contorni giuridici sbiaditi. 

Di questo passo, la Serie A rischia di trasformarsi in un teatro dove si recita una farsa chiamata equità. E la cosa si fa ben più grave quando ci sarebbero tutti gli strumenti per rendere oggettivo il gioco che amiamo. Ma, a quanto pare, è necessario mantenere sempre una certa quota di discrezionalità funzionale a chissà cosa nonostante telecamere, microfoni, droni, VAR, goal line technology, replay e inquadrature in soggettiva. Il clima di sospetto non lo alimentiamo noi osservatori, lo foraggia il sistema stesso. Smentiteci.


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Non è più calcio, è amministrazione del risultato. In Italia si gioca un campionato dove le regole – o per meglio dire l’applicazione delle stesse – cambiano con piglio schizofrenico. La Serie A è diventata la tenzone sportiva in cui il VAR non corregge ma indirizza, dove la discrezionalità è diventata legge. Altro che tecnologia: questo pallone è tornato al Medioevo, solo con più telecamere.

L’ultimo episodio controverso arriva da San Siro, teatro dell’ennesima decisione che insulta l’intelligenza di chi guarda. In Milan-Fiorentina, Marinelli viene richiamato al VAR per una manata veniale di Parisi su Gimenez. Un contatto minimo, quasi impercettibile, ingigantito dall’attaccante rossonero che sembra essere preso dagli spasmi epilettici dopo la carezza del calciatore gigliato. Un atto però sufficiente per assegnare un rigore e cambiare definitivamente il corso della partita che si avviava verso il pareggio. E così i Rossoneri si trovano primi in classifica, in solitaria. 

Strano che in Milan-Napoli due manate ben più nette – una sul volto – e un fallo clamoroso su Scott McTominay non valsero nemmeno un check di una quintetto arbitrale che forse dormiva. O pilatescamente non interveniva. Allora si parlò di “contatti leggeri”, oggi episodi ben più marginali, improvvisamente, diventano rigori da fischiare. Rocchi cosa dirà stavolta? Che l’intensità è relativa? Che il protocollo si piega in base a elementi esogeni che vorremmo ci fossero esplicitati una volta e per tutte? 

Il VAR rischia di trasformarsi in un'arma del potere

Perfino Luca Marelli, ex arbitro e oggi analista per DAZN, non ha potuto né voluto tacere: “Rigore Milan? Molto discutibile. C’è una mano appoggiata al volto, ma non una trattenuta perché è veramente leggerissima. A mio parere, se il rigore viene assegnato in campo si storce il naso ma lo si accetta, perché è una valutazione di campo. L’OFR è fuori dal protocollo. Abbiamo un episodio simile in Juve-Inter: Thuram tocca il volto di Bonny, ma lì il gol viene convalidato perché il contatto è stato giudicato lieve. Due episodi identici, due decisioni opposte. O si è sbagliato in Juve-Inter o si è sbagliato in Milan-Fiorentina. Per me si è sbagliato in Milan-Fiorentina”.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Gianpaolo Calvarese, altro ex fischietto: “Live ho pensato che Parisi su Gimenez fosse rigore: l’attaccante è davanti, il difensore vuole fermarlo. Ma dai replay si evince che il contatto all’altezza del collo è lieve: non era da richiamo VAR”.

Parole che pesano e che non si può far finta di non aver letto. Perché quando anche chi conosce le regole ammette che il protocollo è stato travalicato, allora vuol dire che siamo fuori controllo. Ma questa non è un’invettiva contro il Milan, sia chiaro, è la denuncia di un sistema inceppato. Perché negli ingranaggi rumorosi di questo tritacarne ci entrano, a rotazione, un po’ tutti.

Il VAR usato come leva di potere

Il VAR, con questo uso disinibito, non è più uno strumento di giustizia: è una leva di potere, usata a discrezione, senza coerenza né trasparenza. È il regno dell’interpretazione, dove ogni decisione può essere riscritta, ogni contatto reinventato, ogni episodio piegato al contesto. Dietrologia? Forse, ma sono le “giacchette nere” a dare adito al chiacchiericcio e al retropensiero. 

E così, giornata dopo giornata, la Serie A perde credibilità. Non è un problema tecnico: è un busillis culturale, sistemico, istituzionale. Perché finché il “protocollo” resterà una nebulosa interpretativa, gli arbitri avranno mano libera per decidere affrancandosi dai testi di riferimento e da una giurisprudenza ormai ondivaga. E dunque poco credibile. 

Il VAR rischia di trasformarsi in un'arma del potere

E qui arriva il punto: il vero virus del calcio italiano è “un’arbitraggite” autoreferenziale, dove tutto è giustificabile, tutto è interpretabile, tutto è discrezionale. Rocchi, il designatore, parla sovente di uniformità come stella polare da seguire, ma il campo racconta il contrario: due pesi, due misure. Se tutto va bene.

E allora basta ipocrisie: non si può continuare a parlare di “errori” quando le stesse situazioni portano a esiti opposti. Non si può invocare il protocollo quando lo si calpesta ogni domenica. Il calcio italiano è in mano a un gruppo che decide, interpreta, spesso distorce. E il VAR, invece di essere la bilancia della giustizia, è diventato uno strumento amorfo e dai contorni giuridici sbiaditi. 

Di questo passo, la Serie A rischia di trasformarsi in un teatro dove si recita una farsa chiamata equità. E la cosa si fa ben più grave quando ci sarebbero tutti gli strumenti per rendere oggettivo il gioco che amiamo. Ma, a quanto pare, è necessario mantenere sempre una certa quota di discrezionalità funzionale a chissà cosa nonostante telecamere, microfoni, droni, VAR, goal line technology, replay e inquadrature in soggettiva. Il clima di sospetto non lo alimentiamo noi osservatori, lo foraggia il sistema stesso. Smentiteci.


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