C’era una volta (nemmeno troppo tempo fa) Antonio Conte, il condottiero capace di trasformare uno spogliatoio in una trincea, di cementare la compattezza di gruppo attraverso il sacrificio, la disciplina e il fuoco della motivazione. Oggi, a guardare il Napoli, di quel Conte resta solo la sagoma rigida, quasi spenta, di un sergente di ferro che sembra aver smarrito la via. Ieri sera il suo volto sulla panchina del Philips Stadion era spento e forse, più che il match che gli scivolava via dalla mani, pensava a cosa dover dire ai microfoni per giustificare il disastro.
I toni sono allarmistici, è inutile girarci intorno, perché certi segnali che forse non si volevano vedere stanno ora salendo a galla come gocce d’olio in un bicchier d’acqua. Le parole di Noa Lang, rilasciate a Ziggo Sport e riprese dell’autorevole The Telegraph dopo l’ennesima panchina, non sono semplici sfoghi: sono un segnale d’allarme. “Ogni calciatore vuole giocare. È tutto. Non so cos’altro fare. È meglio non dire nulla”, ha dichiarato l’olandese, visibilmente frustrato.
Nessun confronto diretto con Conte, nessuna spiegazione chiara sul perché uno degli acquisti più costosi dell’estate – 25 milioni di euro – sia diventato una comparsa in una squadra che fatica a trovare identità e ritmo. “In ogni caso, non ci saranno lunghe conversazioni con l’allenatore Conte sul suo ruolo di riserva nel Napoli. “Ci ho parlato una volta, ma ora la partita è più rilevante”, ha aggiunto Lang.

Un tempo, Conte avrebbe trasformato questa tensione in energia competitiva. Oggi, invece, il Napoli sembra bloccato in un cortocircuito psicologico: chi è dentro non trova serenità, chi è fuori si sente emarginato. E il campo riflette questa disarmonia come la scoppola epocale di ieri sera ha mostrato con ferocia.
Lang è il simbolo di una scollatura interna che comincia a farsi percepire. Non si tratta soltanto di scelte tecniche o di adattamento tattico, ma di gestione umana. Il Conte che univa, oggi divide; quello che motivava, ora impone. E in un gruppo che lo scorso anno aveva già vissuto la frattura tra allenatore e giocatori, questo ritorno della tensione rischia di far saltare di nuovo gli equilibri.
Certo, il Napoli non perde solo per i malumori di un singolo. Ma è altrettanto vero che in una squadra dove gli interpreti si sentono “ornamentali”, dove chi entra lo fa senza convinzione, dove la comunicazione si riduce a un “è meglio non dire nulla”, qualcosa si è incrinato nel rapporto tra tecnico e spogliatoio.
Il rischio è che Conte stia trasformando la disciplina in distanza, l’ordine in freddezza. Il “gestore di uomini” sembra aver lasciato spazio a un “allenatore di sistemi”, distante dalle emozioni di un gruppo che aveva bisogno di sentirsi parte di un progetto, non di una gerarchia rigida.
Se il Napoli vuole rialzarsi, dovrà ritrovare prima la sua anima. E questa passa inevitabilmente dalla capacità di Conte di tornare ciò che era: un leader capace di costruire identità, non solo di imporla.
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