Napoli

Napoli, “mistero” infortuni: tattica o confusione comunicativa?

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Scritto da Diego Catalano

25 Ottobre 2025

C’è qualcosa che non torna nella gestione comunicativa del Napoli sugli infortuni. Non è una novità – anzi, sembra quasi diventata una costante – ma quando la nebbia si infittisce e la chiarezza manca, è lecito chiedersi: perché? Cui prodest?

Prendiamo il caso di Amir Rrahmani. Ufficialmente fermato da un problema muscolare, doveva rientrare “a breve”. Poi “non ancora pronto”. Poi la ricaduta. Risultato? È sparito dai radar da un mese e nessuno sa esattamente quando tornerà a disposizione. Conte non si sbottona, la società non proferisce verbo, il diretto interessato è tenuto al silenzio. Addetti ai lavori e tifosi non hanno ricevuto aggiornamenti chiari. Solo frasi di circostanza, sorrisi tirati e un silenzio che, più che proteggere la squadra, finisce per alimentare sospetti e frustrazione.

Napoli
Antonio Conte nella sua conferenza di presentazione in azzurro

E non si tratta di un caso isolato. Basti guardare a ciò che sta accadendo con il “presunto affaticamento muscolare” di Rasmus Højlund che lo ha costretto a saltare la Champions League contro il PSV e, ora, anche la sfida contro l’Inter, a meno di recuperi last minute. Forse una gestione che lascia intendere una certa volontà di confondere le acque, forse per non fornire vantaggi agli avversari.

Ma nel caso del Napoli, il dubbio è un altro: questa strategia serve davvero alla squadra o finisce solo per disorientare l’ambiente? Perché il tifoso ha il diritto di sapere cosa accade ai suoi giocatori, almeno nei limiti della trasparenza sportiva. Un’informazione chiara, persino asciutta, non è un cedimento tattico e un’infrazione della privacy. È rispetto.

Antonio Conte, si sa, non ama far trapelare nulla. È un uomo di controllo, e la gestione comunicativa del Napoli oggi riflette perfettamente il suo approccio: blindato, serrato, imperscrutabile, specie dopo i sei ceffoni olandesi e in vista di un match che ha il sapore dello spartiacque. Tuttavia, la linea fra prudenza e opacità è sottile. Quando si scivola oltre, si finisce nel campo della disinformazione e a pagarne il prezzo rischia di essere la credibilità del club.

Lukaku

In un calcio moderno dove ogni dato è analizzato, ogni prestazione vivisezionata, e ogni dettaglio diventa narrazione, l’assenza di comunicazione non è una forma di forza. È una mancanza. Non dire nulla, in fondo, significa lasciare che a parlare siano gli altri: giornalisti, opinionisti, voci di corridoio. Ed è proprio lì che nasce il rumore che il Napoli vorrebbe evitare.

Forse, allora, sarebbe il momento di trovare un equilibrio: comunicare senza svelare troppo, informare senza confondere. Perché il mistero può affascinare per un po’, ma alla lunga logora. E in una stagione dove la fiducia dell’ambiente è fondamentale, la chiarezza non è un lusso: è un dovere. Alla fine, il silenzio può proteggere una strategia. Ma non potrà proteggere la verità.


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Partenopeo, misantropo, progger talebano
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C’è qualcosa che non torna nella gestione comunicativa del Napoli sugli infortuni. Non è una novità – anzi, sembra quasi diventata una costante – ma quando la nebbia si infittisce e la chiarezza manca, è lecito chiedersi: perché? Cui prodest?

Prendiamo il caso di Amir Rrahmani. Ufficialmente fermato da un problema muscolare, doveva rientrare “a breve”. Poi “non ancora pronto”. Poi la ricaduta. Risultato? È sparito dai radar da un mese e nessuno sa esattamente quando tornerà a disposizione. Conte non si sbottona, la società non proferisce verbo, il diretto interessato è tenuto al silenzio. Addetti ai lavori e tifosi non hanno ricevuto aggiornamenti chiari. Solo frasi di circostanza, sorrisi tirati e un silenzio che, più che proteggere la squadra, finisce per alimentare sospetti e frustrazione.

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Antonio Conte nella sua conferenza di presentazione in azzurro

E non si tratta di un caso isolato. Basti guardare a ciò che sta accadendo con il “presunto affaticamento muscolare” di Rasmus Højlund che lo ha costretto a saltare la Champions League contro il PSV e, ora, anche la sfida contro l’Inter, a meno di recuperi last minute. Forse una gestione che lascia intendere una certa volontà di confondere le acque, forse per non fornire vantaggi agli avversari.

Ma nel caso del Napoli, il dubbio è un altro: questa strategia serve davvero alla squadra o finisce solo per disorientare l’ambiente? Perché il tifoso ha il diritto di sapere cosa accade ai suoi giocatori, almeno nei limiti della trasparenza sportiva. Un’informazione chiara, persino asciutta, non è un cedimento tattico e un’infrazione della privacy. È rispetto.

Antonio Conte, si sa, non ama far trapelare nulla. È un uomo di controllo, e la gestione comunicativa del Napoli oggi riflette perfettamente il suo approccio: blindato, serrato, imperscrutabile, specie dopo i sei ceffoni olandesi e in vista di un match che ha il sapore dello spartiacque. Tuttavia, la linea fra prudenza e opacità è sottile. Quando si scivola oltre, si finisce nel campo della disinformazione e a pagarne il prezzo rischia di essere la credibilità del club.

Lukaku

In un calcio moderno dove ogni dato è analizzato, ogni prestazione vivisezionata, e ogni dettaglio diventa narrazione, l’assenza di comunicazione non è una forma di forza. È una mancanza. Non dire nulla, in fondo, significa lasciare che a parlare siano gli altri: giornalisti, opinionisti, voci di corridoio. Ed è proprio lì che nasce il rumore che il Napoli vorrebbe evitare.

Forse, allora, sarebbe il momento di trovare un equilibrio: comunicare senza svelare troppo, informare senza confondere. Perché il mistero può affascinare per un po’, ma alla lunga logora. E in una stagione dove la fiducia dell’ambiente è fondamentale, la chiarezza non è un lusso: è un dovere. Alla fine, il silenzio può proteggere una strategia. Ma non potrà proteggere la verità.


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