Certe serate hanno un’aura che le distingue dalle altre. Al “Diego Armando Maradona”, quella che sembrava destinata a essere una cupa riedizione della semifinale di Coppa Italia tra Napoli e Atalanta — quella del Gattuso convalescente e della formazione improvvisata a tre centrali, barricata e paura — si è invece trasformata in un inno alla rinascita.
L’inizio, va detto, non lasciava presagire nulla di buono. Gli azzurri erano contratti, impauriti, incapaci di trovare serenità persino nei passaggi più elementari. La palla scottava, i reparti erano sfilacciati, e l’Inter — forte del vento di Eindhoven ancora in poppa — pareva pronta a colpire. Bastoni, da calcio d’angolo, sfiora il palo; poco dopo Milinković-Savić deve superarsi su un tap-in di Lautaro, frutto dell’ennesimo svarione di Spinazzola. Napoli in apnea, e tutto lasciava pensare a una lenta, inevitabile resa.
Ma nel calcio, come nella vita, nulla è scritto quando in panchina siede Antonio Conte. Il “demone di Lecce” restituisce linfa, rabbia e disciplina a una squadra che sembrava smarrita. E così la partita si rovescia, si accende, si fa epopea.
Non sono stati solo gli episodi a cambiare la storia — né il rigore, sacrosanto ma contestato, su Di Lorenzo, né la l’inaspettata sceneggiata dal sapore di vecchie ruggini tra Conte e Lautaro Martinez — bensì l’anima del Napoli. Quella che si è accesa con l’ingresso in scena di David Neres, artista ritrovato che ha ricominciato a danzare col pallone tra i piedi. Da falso nove, ha svuotato la difesa nerazzurra, spalancando spazi che McTominay e Anguissa hanno riempito con la furia e la grazia dei giorni migliori.
Due reti splendide, due fendenti che hanno trafitto l’armata di Chivu e riportato alla mente le magie dello scudetto.
Al Maradona è tornata la musica: quella che solo Napoli, quando ritrova se stessa, sa suonare.
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