Christian Chivu, signore d’altri tempi, si è guadagnato i riflettori non per un gol o un trofeo, ma per una dote ormai rara nel calcio italiano: la misura. Un uomo che, invece di cercare alibi o evocare i soliti fantasmi arbitrali, invita tutti a restare “sul pezzo”, a guardare la realtà per quella che è. Roba d’altri secoli, verrebbe da dire.
Ma in Italia, si sa, l’equilibrio è merce esotica. Qui prosperano i dietrologi, gli amanti del sospetto, quelli che nei rigori vedono trame oscure e nelle sconfitte complotti orditi da poteri misteriosi. È il paese dove la teoria del “ci hanno derubato” è patrimonio culturale, più radicato del caffè al bar o della moviola del lunedì.
Certo, la storia ci ha fornito qualche alibi: dagli scandali del calcio scommesse anni ’80 fino ai processi di Calciopoli e alle plusvalenze del nuovo millennio, le ombre non sono mai mancate. Ma questo non significa che ogni fischio contrario debba trasformarsi in un caso di Stato.
E qui entra in scena il buon Beppe Marotta, che da dirigente esperto dovrebbe sapere che lamentarsi dei “rigorini” è un esercizio tanto sterile quanto demagogico. Perché, se vogliamo essere onesti, un contatto come quello tra Di Lorenzo e Mkhitaryan non ha nulla da invidiare a quello tra Dumfries e Anguissa. Stessa intensità, stessa dinamica. La differenza? Solo l’abitudine di certi dirigenti a scambiare il regolamento con un menu à la carte, da interpretare a seconda del risultato.
Non scendiamo nei dettagli del perché è stato fischiato questo calcio di rigore perché non vogliamo offendere l’intelligenza dei nostri lettori, l’era della Var ha segnato un solco ben delineato e il regolamento lo conoscono benissimo. Anzi, probabilmente potrebbero insegnarlo a chi ieri sera anziché professare un ruolo calcistico istituzionale blaterava in maniera insensata, con l’intento di condurre la conversazione a manipolazioni di altri generi.
Ecco perché, paradossalmente, è proprio Chivu – con la sua pacatezza da professore di buonsenso – a darci una lezione. Non di tattica stavolta – almeno non quella mostrata ieri sera (ndr) – ma di civiltà sportiva. Una lezione che molti, anche ai piani alti delle società, dovrebbero appuntarsi sul taccuino.
Il calcio italiano non ha bisogno di nuovi complotti, ma di meno piagnistei. E finché i “gentleman” come Chivu resteranno eccezioni, continueremo a confondere la moviola con la morale, e il fair play con la furbizia.