La trasferta di Lecce sarà accompagnata, ancora una volta, dall’eco assordante delle polemiche che hanno fatto seguito al match tra Napoli e Inter. Discussioni che, pur comprensibili entro certi limiti, sembrano ormai diventate il riflesso più fedele del nostro calcio: più che analizzare il campo, ci si divide sul rumore che lo circonda. Eppure, non si è registrato lo stesso clamore per altri episodi analoghi — basti pensare ai due gol del Milan contro il Pisa o al contatto, ben più evidente, tra Tomori e McTominay al San Siro qualche settimana fa.
L’era della VAR e della tecnologia, nata per garantire equità e trasparenza, ha finito per generare un paradosso: invece di restituire chiarezza, ha amplificato la percezione soggettiva, alimentando sospetti e narrazioni costruite a seconda della frangia mediatica di turno. La correttezza, oggi, sembra passare più dal dibattito televisivo che dal rettangolo verde. Triste da ammettere, ma doveroso riconoscerlo.
Eppure, al di là del rumore di fondo, per il Napoli la sfida di Lecce rappresenta molto più di una semplice trasferta di campionato. È un passaggio obbligato, quasi un banco di prova psicologico, per riconciliarsi con se stesso e ritrovare la consapevolezza del proprio potenziale. Come un anno fa, la squadra partenopea dovrà farlo in condizioni di emergenza, con una rosa ridotta ai minimi termini: tra infortuni e indisponibilità, si contano almeno sette-otto assenze pesanti.
L’importante vittoria contro l’Inter ha restituito un minimo di serenità, ma la sensazione è che la compattezza e l’equilibrio del gruppo non rispecchiano ancora i canoni acquisiti lo scorso anno. Lecce, dunque, sarà anche un test di carattere: non solo per misurare la tenuta fisica, ma per capire se questo Napoli ha ancora la forza mentale per imporsi contro le difficoltà.
Guardando avanti, le prossime settimane diranno molto sul destino della stagione azzurra. Riuscirà la squadra a ritrovare continuità e identità, o rimarrà prigioniera di un’altalena di risultati e polemiche? Una cosa è certa: in un calcio sempre più polarizzato dalle opinioni e sempre meno dai fatti, solo il campo – come sempre – risulterà l’unico giudice supremo.
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