Ci sono parole che si lasciano sfuggire e altre che si scolpiscono nella memoria. Quelle che Luciano Spalletti ha affidato al suo libro appartengono alla seconda categoria. Rilette oggi, lontane dal fervore del terzo scudetto e mentre si consuma il matrimonio con la Vecchia Signora, pesano un bel po’. Perché non raccontano solo un episodio di tensione contrattuale, ma aprono una finestra cruda su un rapporto ormai lacerato tra due uomini che pure, insieme, hanno scritto una delle pagine più luminose della storia del Napoli moderno.
Il passaggio in cui l’ex tecnico della Nazionale (percorso deludente e fallimentare) parla di una “penale” imposta da Aurelio De Laurentiis nel caso in cui avesse allenato un’altra squadra nei dodici mesi successivi lascia un’eco amara. Ma ancor più lo fa il tono con cui Spalletti interpreta quella clausola: il timore che potesse “raggiungere Giuntoli alla Juventus”. Una frase che, seppur verosimile nel contesto emotivo di allora, risuona oggi con una tonalità diversa. E mette in discussione quella lucidità, quella fermezza di pensiero e parola che lo stesso Spalletti ha sempre rivendicato come cifra della propria identità.
Prima di proferire certi verbi, sarebbe forse opportuno – per tutti – fare un bagno di coerenza. Perché la memoria, soprattutto nel calcio e nell’era della sovraesposizione mediatica in cui tutti registrano e annotano, non è un terreno neutro: si nutre di emozioni, di gratitudine, ma anche di contraddizioni. Ed è legittimo chiedersi se un uomo che da oggi siede sulla panchina della Juventus debba ancora misurarsi con rancori antichi, o se non sia più giusto lasciarli al passato, dove appartengono.
Eppure, per Napoli, Spalletti resterà sempre l’uomo del terzo scudetto. Quello che, con la sua idea di calcio e la sua stoica tenacia, ha riportato il popolo azzurro sul tetto d’Italia dopo troppi anni di attesa. Ma è altrettanto inevitabile che, dopo quelle esternazioni, la sua figura venga vista sotto una luce diversa: non più solo l’architetto del sogno, ma anche un uomo capace di rendere meno fulgida la sua stessa leggenda con una frase di troppo. Che bastava non proferire.
Perché nel calcio – come nella vita – le parole possono costruire, ma sanno anche ferire. E certe volte, prima di pronunciarle, bisognerebbe ricordarsi il peso che hanno. Buona fortuna Luciano, con l’augurio che tu possa fare bene. Ma sempre un punto dietro al Napoli.
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