Serie A

Serie A: è pronta la legge “anti-Inter” (e Monza)?

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Scritto da Redazione

1 Novembre 2025

Il disegno di legge che sta infiammando il dibattito politico-sportivo italiano è arrivato in Senato con un titolo burocratico ma un contenuto esplosivo: “Disposizioni in materia di trasparenza nella proprietà delle società sportive professionistiche del settore calcistico”. A presentarlo sono stati il senatore di Fratelli d’Italia Matteo Gelmetti e Claudio Lotito, rappresentante di Forza Italia ma soprattutto presidente della Lazio. Un doppio ruolo che, di per sé, ha già scatenato polemiche.

Il provvedimento, assegnato in sede redigente alla VII commissione di Palazzo Madama per un iter accelerato, punta ufficialmente a rafforzare la trasparenza e la legalità nelle proprietà del calcio italiano. In realtà, secondo molti osservatori, il testo sembra indirizzato in maniera piuttosto mirata contro i club controllati da fondi internazionali, un gruppo ristrettissimo che in Serie A comprende soltanto due società: l’Inter e il Monza.

Il club nerazzurro è attualmente guidato dal fondo statunitense Oaktree, recentemente inglobato dal colosso canadese Brookfield Asset Management. I brianzoli, invece, sono passati lo scorso settembre dalla Fininvest al fondo americano Becket Layne Ventures (BLV). Due realtà che, nelle intenzioni dei promotori del ddl, incarnano modelli di gestione potenzialmente opachi e difficili da sottoporre a controlli diretti da parte delle autorità italiane.

Il testo di Gelmetti e Lotito, si legge su Open a cura di Fosca Bincher, introduce infatti una serie di vincoli che renderebbero obbligatoria la costituzione, entro novanta giorni, di una società controllata con sede legale in Italia e un management pienamente soggetto alla legge civile e penale nazionale. Entro una settimana dall’entrata in vigore della norma, i fondi dovrebbero inoltre comunicare a FIGC e ANAC l’elenco completo degli investitori con quote superiori al cinque per cento e la provenienza dei capitali.

La mancata comunicazione comporterebbe sanzioni pesantissime: una multa da un milione di euro per ogni settimana di ritardo, fino a un massimo di cinque milioni, e nei casi di omissione volontaria anche la responsabilità penale per il legale rappresentante, punita con un anno di reclusione. Ma il punto più clamoroso è la previsione di penalizzazioni sportive, con la sottrazione di un punto in classifica per ogni settimana di inadempienza.

Sul piano formale, il disegno di legge dichiara di voler tutelare la correttezza e la trasparenza dei capitali che entrano nel calcio professionistico. Tuttavia, la coincidenza dei tempi e la limitata platea dei soggetti coinvolti alimentano il sospetto che si tratti di una legge mirata contro Inter e Monza, le uniche due società effettivamente riconducibili a fondi internazionali.

L’iniziativa arriva in un momento particolarmente sensibile per il sistema calcio, alle prese con la difficoltà di attrarre investimenti esteri e con bilanci sempre più dipendenti da capitali internazionali. L’idea di introdurre vincoli così rigidi rischia dunque di avere effetti opposti a quelli dichiarati, scoraggiando nuovi ingressi e accentuando la fragilità di un settore che vive di ricapitalizzazioni cicliche.

A rendere il tutto più controverso è la posizione di Claudio Lotito, che nella doppia veste di senatore e presidente di club siede contemporaneamente su due piani potenzialmente in conflitto: quello legislativo e quello sportivo. La possibilità che un dirigente calcistico partecipi alla scrittura di una norma destinata a incidere sugli equilibri del campionato solleva interrogativi etici e politici difficili da eludere.

In attesa del dibattito parlamentare, la “legge anti-Inter” ha già diviso l’opinione pubblica e il mondo del calcio. C’è chi la considera un passo necessario per ripristinare la trasparenza nelle proprietà e chi, invece, la legge come un tentativo di interferenza politica in un ambito che dovrebbe restare autonomo.

Quel che è certo è che la proposta tocca nervi scoperti: la sostenibilità economica dei club, il ruolo dei capitali esteri e la commistione fra potere politico e interessi sportivi. Una miscela che promette scintille nei prossimi mesi, dentro e fuori i palazzi del calcio.


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Il disegno di legge che sta infiammando il dibattito politico-sportivo italiano è arrivato in Senato con un titolo burocratico ma un contenuto esplosivo: “Disposizioni in materia di trasparenza nella proprietà delle società sportive professionistiche del settore calcistico”. A presentarlo sono stati il senatore di Fratelli d’Italia Matteo Gelmetti e Claudio Lotito, rappresentante di Forza Italia ma soprattutto presidente della Lazio. Un doppio ruolo che, di per sé, ha già scatenato polemiche.

Il provvedimento, assegnato in sede redigente alla VII commissione di Palazzo Madama per un iter accelerato, punta ufficialmente a rafforzare la trasparenza e la legalità nelle proprietà del calcio italiano. In realtà, secondo molti osservatori, il testo sembra indirizzato in maniera piuttosto mirata contro i club controllati da fondi internazionali, un gruppo ristrettissimo che in Serie A comprende soltanto due società: l’Inter e il Monza.

Il club nerazzurro è attualmente guidato dal fondo statunitense Oaktree, recentemente inglobato dal colosso canadese Brookfield Asset Management. I brianzoli, invece, sono passati lo scorso settembre dalla Fininvest al fondo americano Becket Layne Ventures (BLV). Due realtà che, nelle intenzioni dei promotori del ddl, incarnano modelli di gestione potenzialmente opachi e difficili da sottoporre a controlli diretti da parte delle autorità italiane.

Il testo di Gelmetti e Lotito, si legge su Open a cura di Fosca Bincher, introduce infatti una serie di vincoli che renderebbero obbligatoria la costituzione, entro novanta giorni, di una società controllata con sede legale in Italia e un management pienamente soggetto alla legge civile e penale nazionale. Entro una settimana dall’entrata in vigore della norma, i fondi dovrebbero inoltre comunicare a FIGC e ANAC l’elenco completo degli investitori con quote superiori al cinque per cento e la provenienza dei capitali.

La mancata comunicazione comporterebbe sanzioni pesantissime: una multa da un milione di euro per ogni settimana di ritardo, fino a un massimo di cinque milioni, e nei casi di omissione volontaria anche la responsabilità penale per il legale rappresentante, punita con un anno di reclusione. Ma il punto più clamoroso è la previsione di penalizzazioni sportive, con la sottrazione di un punto in classifica per ogni settimana di inadempienza.

Sul piano formale, il disegno di legge dichiara di voler tutelare la correttezza e la trasparenza dei capitali che entrano nel calcio professionistico. Tuttavia, la coincidenza dei tempi e la limitata platea dei soggetti coinvolti alimentano il sospetto che si tratti di una legge mirata contro Inter e Monza, le uniche due società effettivamente riconducibili a fondi internazionali.

L’iniziativa arriva in un momento particolarmente sensibile per il sistema calcio, alle prese con la difficoltà di attrarre investimenti esteri e con bilanci sempre più dipendenti da capitali internazionali. L’idea di introdurre vincoli così rigidi rischia dunque di avere effetti opposti a quelli dichiarati, scoraggiando nuovi ingressi e accentuando la fragilità di un settore che vive di ricapitalizzazioni cicliche.

A rendere il tutto più controverso è la posizione di Claudio Lotito, che nella doppia veste di senatore e presidente di club siede contemporaneamente su due piani potenzialmente in conflitto: quello legislativo e quello sportivo. La possibilità che un dirigente calcistico partecipi alla scrittura di una norma destinata a incidere sugli equilibri del campionato solleva interrogativi etici e politici difficili da eludere.

In attesa del dibattito parlamentare, la “legge anti-Inter” ha già diviso l’opinione pubblica e il mondo del calcio. C’è chi la considera un passo necessario per ripristinare la trasparenza nelle proprietà e chi, invece, la legge come un tentativo di interferenza politica in un ambito che dovrebbe restare autonomo.

Quel che è certo è che la proposta tocca nervi scoperti: la sostenibilità economica dei club, il ruolo dei capitali esteri e la commistione fra potere politico e interessi sportivi. Una miscela che promette scintille nei prossimi mesi, dentro e fuori i palazzi del calcio.


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