Diego Armando Maradona

Maradona non calciò una punizione, dipinse l’invisibile

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Scritto da Pasquale Spirito

3 Novembre 2025

Fu un istante sospeso tra cielo e terra, un lampo di genio che squarciò la materia del calcio per elevarlo al rango della poesia. Il 3 novembre 1985 non fu una semplice domenica sportiva: fu un’eclissi di realtà.

L’Arena gremita per il suo Re

Sotto una pioggia dirompente, lo stadio San Paolo tremava come un cuore in delirio, Napoli intera respirava all’unisono, e in mezzo a quel mare di anime ardenti, Diego Armando Maradona decise di riscrivere il destino.

Ricorreva la nona giornata, con la Juventus stava imponendo la sua egemonia al campionato: punteggio pieno, 8 vittorie su 8 partite.

Maradona creò l’inverosimile

Dopo un’espulsione per entrambe le compagini e un punteggio che non tendeva ad essere sbloccato, a circa venti minuti dal termine Gaetano Scirea intervenne a gamba tesa sul volto di Daniel Bertoni all’interno dell’area di rigore della Madame bianconera, uno di quegli episodi in cui l’arbitro decretava la punizione a due tocchi anziché il calcio di rigore. Il pallone a sedici metri, la barriera bianconera troppo vicina, troppo densa, troppo umana. Intorno, un silenzio carico di fede.

“Eraldo, passamela indietro.”
“Ma sei matto, Diego? Come fai a farla passare sopra?”
“Tu dammela dietro.”
“Diego, da qui non passerà mai.”
“Tu non ti preoccupare.”

(Quel dialogo con Pecci è già mito, un frammento d’eternità racchiuso tra un sorriso e un’idea folle).

Si staccarono dalla barriera Cabrini e Scirea, ignari che stavano per diventare comparse nella scena più surreale che il calcio avesse mai visto. Diego prese due passi di rincorsa, lo sguardo volto all’infinito, come se ascoltasse una musica che solo lui poteva sentire. Poi, il tocco: non un tiro, ma un respiro. Un sinistro carezzevole, quasi timido, che sollevò il pallone come un sogno in equilibrio sul filo dell’impossibile.

La sfera si alzò morbida, obbediente, superò la barriera come attratta da una forza celeste, disegnando una parabola che nessun fisico avrebbe potuto spiegare. Il portiere della Juventus, Stefano Tacconi, nonostante l’impegno e gli sforzi, fu spettatore e vittima di un vero prodigio. E quando il pallone baciò l’incrocio dei pali, il San Paolo esplose in un cantico variegato tra gioia e commozione.

Non fu solo un gol: fu un’apparizione. Un gesto che sfidava la logica, un atto di ribellione divina. In quell’istante, Napoli trovò il suo riscatto, il suo canto, la sua fede. La città che per decenni aveva inseguito la Juventus, quel pomeriggio trovò nel piede sinistro di un argentino la propria redenzione.

Maradona non calciò una punizione: dipinse l’invisibile.

Una traiettoria impossibile, un gesto che sfidava le leggi della fisica. Ma Diego era la legge del calcio: una punizione che non aveva precedenti né spiegazioni, solo emozione.

Napoli toccò il cielo con un dito

E mentre lo stadio impazziva, il tempo sembrò fermarsi. Il calcio, per un attimo, smise di essere sport e diventò liturgia, estasi, arte pura.

Ancora oggi, chi c’era giura di aver visto il pallone non solo entrare in porta, ma salire verso il cielo, alto, sempre più alto, come un sogno che, ostinatamente, si rifiutava di svanire.

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Fu un istante sospeso tra cielo e terra, un lampo di genio che squarciò la materia del calcio per elevarlo al rango della poesia. Il 3 novembre 1985 non fu una semplice domenica sportiva: fu un’eclissi di realtà.

L’Arena gremita per il suo Re

Sotto una pioggia dirompente, lo stadio San Paolo tremava come un cuore in delirio, Napoli intera respirava all’unisono, e in mezzo a quel mare di anime ardenti, Diego Armando Maradona decise di riscrivere il destino.

Ricorreva la nona giornata, con la Juventus stava imponendo la sua egemonia al campionato: punteggio pieno, 8 vittorie su 8 partite.

Maradona creò l’inverosimile

Dopo un’espulsione per entrambe le compagini e un punteggio che non tendeva ad essere sbloccato, a circa venti minuti dal termine Gaetano Scirea intervenne a gamba tesa sul volto di Daniel Bertoni all’interno dell’area di rigore della Madame bianconera, uno di quegli episodi in cui l’arbitro decretava la punizione a due tocchi anziché il calcio di rigore. Il pallone a sedici metri, la barriera bianconera troppo vicina, troppo densa, troppo umana. Intorno, un silenzio carico di fede.

“Eraldo, passamela indietro.”
“Ma sei matto, Diego? Come fai a farla passare sopra?”
“Tu dammela dietro.”
“Diego, da qui non passerà mai.”
“Tu non ti preoccupare.”

(Quel dialogo con Pecci è già mito, un frammento d’eternità racchiuso tra un sorriso e un’idea folle).

Si staccarono dalla barriera Cabrini e Scirea, ignari che stavano per diventare comparse nella scena più surreale che il calcio avesse mai visto. Diego prese due passi di rincorsa, lo sguardo volto all’infinito, come se ascoltasse una musica che solo lui poteva sentire. Poi, il tocco: non un tiro, ma un respiro. Un sinistro carezzevole, quasi timido, che sollevò il pallone come un sogno in equilibrio sul filo dell’impossibile.

La sfera si alzò morbida, obbediente, superò la barriera come attratta da una forza celeste, disegnando una parabola che nessun fisico avrebbe potuto spiegare. Il portiere della Juventus, Stefano Tacconi, nonostante l’impegno e gli sforzi, fu spettatore e vittima di un vero prodigio. E quando il pallone baciò l’incrocio dei pali, il San Paolo esplose in un cantico variegato tra gioia e commozione.

Non fu solo un gol: fu un’apparizione. Un gesto che sfidava la logica, un atto di ribellione divina. In quell’istante, Napoli trovò il suo riscatto, il suo canto, la sua fede. La città che per decenni aveva inseguito la Juventus, quel pomeriggio trovò nel piede sinistro di un argentino la propria redenzione.

Maradona non calciò una punizione: dipinse l’invisibile.

Una traiettoria impossibile, un gesto che sfidava le leggi della fisica. Ma Diego era la legge del calcio: una punizione che non aveva precedenti né spiegazioni, solo emozione.

Napoli toccò il cielo con un dito

E mentre lo stadio impazziva, il tempo sembrò fermarsi. Il calcio, per un attimo, smise di essere sport e diventò liturgia, estasi, arte pura.

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