Certi infortuni sembrano scritti per beffarsi del calcio stesso. Ti aspetti che un giocatore si faccia male dopo un contrasto duro, un’accelerazione improvvisa, una scivolata al limite. E invece no: a volte è proprio nel gesto più “controllato”, quello che dovrebbe appartenere alla calma, che il destino decide di colpire. È successo a Kevin De Bruyne, è successo a Paulo Dybala.
Nel match contro l’Inter, il belga aveva segnato un rigore con un’esecuzione perfetta, ma subito dopo aveva avvertito un dolore al flessore. Diagnosi impietosa: lesione muscolare e stop di circa quattro mesi. Una beffa, quella di fermarsi per un crack nato da un gesto tecnico apparentemente semplice, che richiede più testa che fisico. Eppure, il calcio sa essere ironico, spesso crudele nella sua logica imprevedibile.

Ieri è toccato a Dybala, nel corso di Milan-Roma. L’argentino ha calciato dal dischetto, ma appena completato il movimento ha portato la mano al flessore, lo stesso muscolo che aveva già tradito De Bruyne. Dopo pochi istanti, la richiesta di cambio e lo sguardo cupo in panchina. Mestizia acuita anche dall’errore che non ha permesso alla Roma di pareggiare. Immagini che raccontano tutto: la consapevolezza di un corpo fragile e la rabbia di chi sa che il proprio talento rischia ancora una volta di restare prigioniero del dolore.
I tempi di recupero non sono ancora chiari. Gasperini, a caldo ai microfoni di Dazn, ha parlato di un possibile rientro dopo la sosta delle Nazionali, forse verso fine novembre. Ma al di là delle settimane di stop, resta l’immagine simbolica: il calcio che si prende gioco dei suoi artisti proprio nel momento in cui dovrebbero essere padroni del proprio gesto.
Infortuni così fanno riflettere, perché raccontano la parte più beffarda del destino calcistico: quella che non conosce contrasti, che non ha bisogno di avversari. Basta un passo, un appoggio, una tensione muscolare mal calibrata. E il calcio, da gioco d’istinto, si trasforma in dramma sportivo improvviso.
Dybala e De Bruyne, due fantasisti accomunati da un destino che li ha colpiti nel punto più “tranquillo” del campo: davanti al pallone fermo, a undici metri dal gol. Perché a volte, nel calcio come nella vita, anche quando tutto sembra sotto controllo, basta un istante per cambiare tutto.