Conte sul banco dei testimoni è la spiacevole conferma redatta dai soliti disadattati di turno. Ma andiamo per gradi.
Conte è ancora qua, eh già (cit.)
Non si è fatto in tempo a tirare il fiato da un campionato che ricorda i gloriosi anni Ottanta — con sei squadre racchiuse in quattro punti e un equilibrio che non si vedeva da decenni — che subito l’attenzione si sposta sulla Champions League. Una partita spartiacque, un crocevia che può determinare il cammino europeo del Napoli. E come sempre, invece di respirare fiducia e sostegno, Antonio Conte si ritrova a dover gestire un prepartita trasformato in tribunale mediatico, con la solita stampa locale pronta a contare non i punti in classifica, ma le pieghe della sua fronte.

Conte non se lo spiega, ma nemmeno noi
Eppure, i fatti parlano. Alla prima stagione, senza la stella più luminosa della rosa — Khvicha Kvaratskhelia, ceduto per necessità — e con una squadra ridotta all’osso dalle assenze, Conte ha fatto ciò che i critici non avrebbero mai pronosticato: ha svuotato il banco e ha trionfato. Niente alibi, niente lamenti, solo risultati. E ora, nonostante un mercato più generoso ma un’infermeria piena, il Napoli resta in cima alla Serie A e ancora vivo in Champions.
Ma per una certa stampa napoletana, evidentemente, non basta mai. È più comodo riempire le colonne con insinuazioni e pettegolezzi: Perché Lorenzo Lucca? Perché Milinković-Savić come secondo portiere? Domande poste col senno di poi, dimenticando che proprio il “secondo portiere” oggi è titolare per necessità — e con rendimento più che dignitoso.
Ah, dimenticavo, dopo la partita contro il Como di Fabregas incombono anche i nostalgici del calcio del possesso e del dominio del pallone di cui francamente non sentivamo la mancanza.
Conte si ribella, e fa bene
Fa benissimo Antonio Conte in conferenza a ribadire quanta irriconoscenza esista sulle righe dei quotidiani campani e quanto pressappochismo sia presente sulla bocca di una estrema frangia del giornalismo professionistico
Conte non ha bisogno di essere simpatico, ha bisogno di essere vincente. E lo è.
Fa benissimo, dunque, a rispondere in conferenza con il tono tagliente che lo contraddistingue. Perché dietro quella patina di “critica costruttiva” si nasconde quel vizio tutto partenopeo di demolire chi non si piega al consenso facile.
José Mourinho lo chiamava il rumore dei nemici. Qui, più che rumore, sembra un fuoco amico — ma di amico ha ben poco. Perché invece di sostenere chi sta restituendo orgoglio, disciplina e mentalità vincente al Napoli, c’è chi preferisce alimentare il chiacchiericcio, con la speranza di un inciampo per poter dire: “L’avevamo detto”.
Ma Conte non ascolta, e fa bene. Lui continua per la sua strada, con lo sguardo fisso sulla meta, mentre intorno si agitano i soliti trombettieri del disfattismo. E alla fine, come sempre, parlerà il campo. E lì, per fortuna, le chiacchiere non valgono un punto.