Doveva essere la partita della svolta, quella da rimettere i remi in barca dopo il naufragio di Eindhoven, e invece il Napoli ha finito col perdersi tra le ombre di una notte europea che prometteva ben altro. Dopo una fiammata iniziale incoraggiante, la squadra di Antonio Conte si è lentamente spenta, scivolando nell’anonimato di una partita che avrebbe dovuto rilanciare le ambizioni continentali degli azzurri.
Eppure, i primi quindici minuti avevano illuso il pubblico del “Maradona”. La corsia di sinistra, con Gutierrez ed Elmas, aveva dato l’impressione di poter dominare la scena: trame veloci, inserimenti precisi, occasioni che, però, sono rimaste sospese a metà tra l’intuizione e la realizzazione. Occasioni non sfruttate, che oggi pesano come un macigno.
Poi, la squadra si è lentamente scollata. I reparti hanno smesso di dialogare, la transizione è diventata faticosa, e la pressione – priva di compattezza e di quel “corto respiro” necessario per aggredire l’avversario – si è ridotta a un accompagnamento sterile. Il Napoli ha finito col limitarsi a inseguire, senza mai mordere davvero.
Imbrigliati tatticamente, gli uomini di Conte sono apparsi come un pesce fuor d’acqua anche quando i tedeschi, nelle rare fasi di sbilanciamento, concedevano spiragli in contropiede. Ma la risposta partenopea è sempre stata la stessa: lenta, prevedibile, impacciata.
Manca la reattività, manca il dinamismo. Persino gli uomini di maggior spessore – Hoijlund, Politano, McTominay e lo stesso Lobotka, reduce da tre settimane di stop – hanno mostrato una condizione insufficiente per imporre ritmo e geometrie di livello europeo.
Lucidità e brillantezza, due ingredienti fondamentali per chi deve vincere obbligatoriamente, non si sono visti. E ora la classifica del girone, che poteva essere occasione di rilancio, si fa complicata. Conte dovrà ripartire da qui, da una notte in cui il Napoli ha capito che il talento, da solo, non basta: senza identità, senza fame e senza coraggio, la Champions è ormai diventato un terreno minato.