Napoli Eintracht

Napoli-Eintracht: un pareggio da Rotten.com anni ’90, tra decadenza tattica e cinismo digitale

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Scritto da Luca Orabona

5 Novembre 2025

Da tifoso azzurro, con il cuore ancora stretto per quel 0-0 al Maradona contro l’Eintracht Francoforte, rivivo l’analisi post-partita come un’eco amara di una Champions League che un tempo era sinfonia di spettacolo, oggi ridotta a un sussurro deprimente. I tedeschi, “cultura del lusso e della routine”, hanno eretto un catenaccio impenetrabile – dieci uomini dietro la linea della palla, zero tentativi di contropiede, e un’arbitraggio permissivo che ha concesso ogni ostruzionismo temporale, quasi un’eredità delle nostre antiche disfide nostrane. Il Napoli, primo in Serie A, ha dominato il possesso in modo prolungato ma anemico, producendo solo due o tre occasioni nitide, senza mai imprimere quella supremazia che avrebbe meritato.

È mancata la qualità essenziale: nel gioco, nei giocatori. Senza un demiurgo come De Bruyne in mezzo, la squadra di Conte arranca nel servire il centravanti; Hojlund, abile in profondità ma estraneo al dialogo stretto e alla fisicità di Lukaku, non apre spazi né favorisce inserimenti. Il 4-3-3 impone agli esterni di decidere, ma la catena di destra è in affanno – Politano stremato, Di Lorenzo in evidente difficoltà –, mentre a sinistra Gutierrez e Elmas (il migliore in campo) hanno tessuto trame promettenti con scambi fluidi. Negli scampoli finali, Neres appare confuso e inoffensivo, mentre Lang merita più minuti per la sua capacità di saltare l’uomo e creare superiorità numerica. 

Kevin De Bruyne
Kevin De Bruyne, SSC Napoli

La squadra, generosa ma timorosa, ha optato per passaggi sicuri di fronte al “pulmann” tedesco, evitando il rischio della giocata audace. L’unica vera chance? Tradita da McTominay, lo scozzese eroe dello scudetto, che ha spedito in curva un piattone facilitato dall’assist di Anguissa – ancora lontano dai suoi picchi, penalizzato dall’assenza di Lukaku. 

Da applaudire, però, la terza clean sheet consecutiva: Buongiorno e Rrahmani hanno mutato la musica difensiva, un merito enorme per una rosa che ha guidato il campionato senza la coppia titolare. È la solita “coperta corta”: solidità dietro, sterilità davanti. Conte dovrà tessere una “trapunta” che copra l’intero campo, perché chi non risica, non rosica – o, come si dice da noi, “chi nun tene coraggio nun se cocca ch’e femmene belle”. Partenope, città d’amore, non merita questa routine asfissiante.

Ora, estendendo lo sguardo a un parallelo intrigante e un po’ anacronistico, immaginate di sovrapporre questa desolante parità a Rotten.com degli anni ’90 – quel reliquiario digitale del web primordiale, nato intorno al ’95 come un’antologia cinica della banalità umana, dove non c’erano filtri morali né algoritmi benevoli, solo esposizioni crude di fallimenti quotidiani, servite con un’ironia tagliente e distaccata. 

Napoli – Eintracht come rotten.com

Rotten non era un sito di notizie sportive, ma un catalogo di decadenza: immagini di routine urbane degenerate in assurdità, caption lapidarie che smascheravano l’illusione del progresso con un umorismo nero, sofisticato nella sua indifferenza. Non gore esplicito, ma un’ostentazione della mediocrità – come un “buco nero” del browser, dove l’utente si immergeva volontariamente in un voyeurismo intellettuale, confrontandosi con l’ordinario che si fa grottesco.

In questo senso, il nostro 0-0 evoca proprio quell’estetica rotten: il catenaccio dell’Eintracht non è un bunker splatter, ma una barricata burocratica, un “parcheggio” metodico che trasforma la Champions – un tempo arena di aggressività a tutto campo – in una routine asfissiante, simile alle sequenze di stalli urbani su Rotten, dove il traffico quotidiano si cristallizza in un’eterna immobilità. Il possesso napoletano, lento e prevedibile, ricorda quelle caption rotten che deridono l’inefficienza umana: due o tre occasioni come lampi fugaci in un paesaggio grigio, senza la scintilla di una “giocata vincente”. 

Napoli
Scott McTominay e Mario Gotze a contrasto durante Napoli – Eintracht

Hojlund, isolato in profondità, incarna il prototipo dell’uomo solo in mezzo alla folla – abile ma non dialogante, come un personaggio rotten intrappolato in una routine che non evolve, privo della fisicità lukakiana per “aprire” il gioco. E le fasce? La destra in affanno è un cortocircuito, un Di Lorenzo-Politan che inciampa nella stanchezza come in una sequenza di errori banali; a sinistra, Elmas e Gutierrez tessono un contro-narrativa, saltando l’uomo con la grazia di chi evade la monotonia, mentre Lang – il jolly sottoutilizzato – attende il suo momento come un dettaglio nascosto in un frame rotten, pronto a rivelare una crepa nel sistema.

McTominay, poi, è il punchline perfetto: l’eroe che fallisce il facile, spedendo la palla in curva B, evoca quel cinismo rotten dove l’eccezionale si riduce al ridicolo – non un’esplosione drammatica, ma un inciampo quotidiano che smaschera la fragilità. La difesa solida, con Buongiorno e Rrahmani, offre un contrappunto: una clean sheet come un “fossile” intatto in un sito di rovine, un merito che resiste alla decomposizione generale. Ma la “coperta corta” è il vero leitmotiv: Napoli copre il retro, ma lascia esposto il fronte, in un equilibrio precario che Rotten celebrerebbe come metafora della condizione umana – solidi nei confini, ma incapaci di espansione, timorosi di rischiare la giocata per paura del caos.

La differenza, sagace e profonda, sta nel registro: Rotten era un specchio spietato, un web anni ’90 senza redazioni o like, dove il cinismo era l’unica narrazione, un invito a contemplare la desolazione con distacco filosofico. L’analisi azzurra, invece, è un lamento partenopeo – elegante nel suo rammarico, intriso di proverbi e speranza primaverile, che trasforma la delusione in un invito al riscatto. 

Manca il gelo rotten, quel voyeurismo che riduce tutto a routine grottesca senza redenzione; qui, Conte è chiamato a “tessere” non un lenzuolo funerario, ma una trapunta che avvolga l’intera Partenope. Rotten ti lasciava con l’amaro di un’umanità stagnante; questo 0-0, con la sua timidezza, è un invito a più audacia – perché in fondo, chi osa, conquista le “femmene belle”. Forza Napoli: che la prossima sia meno routine, più rivoluzione. Alè!

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Da tifoso azzurro, con il cuore ancora stretto per quel 0-0 al Maradona contro l’Eintracht Francoforte, rivivo l’analisi post-partita come un’eco amara di una Champions League che un tempo era sinfonia di spettacolo, oggi ridotta a un sussurro deprimente. I tedeschi, “cultura del lusso e della routine”, hanno eretto un catenaccio impenetrabile – dieci uomini dietro la linea della palla, zero tentativi di contropiede, e un’arbitraggio permissivo che ha concesso ogni ostruzionismo temporale, quasi un’eredità delle nostre antiche disfide nostrane. Il Napoli, primo in Serie A, ha dominato il possesso in modo prolungato ma anemico, producendo solo due o tre occasioni nitide, senza mai imprimere quella supremazia che avrebbe meritato.

È mancata la qualità essenziale: nel gioco, nei giocatori. Senza un demiurgo come De Bruyne in mezzo, la squadra di Conte arranca nel servire il centravanti; Hojlund, abile in profondità ma estraneo al dialogo stretto e alla fisicità di Lukaku, non apre spazi né favorisce inserimenti. Il 4-3-3 impone agli esterni di decidere, ma la catena di destra è in affanno – Politano stremato, Di Lorenzo in evidente difficoltà –, mentre a sinistra Gutierrez e Elmas (il migliore in campo) hanno tessuto trame promettenti con scambi fluidi. Negli scampoli finali, Neres appare confuso e inoffensivo, mentre Lang merita più minuti per la sua capacità di saltare l’uomo e creare superiorità numerica. 

Kevin De Bruyne
Kevin De Bruyne, SSC Napoli

La squadra, generosa ma timorosa, ha optato per passaggi sicuri di fronte al “pulmann” tedesco, evitando il rischio della giocata audace. L’unica vera chance? Tradita da McTominay, lo scozzese eroe dello scudetto, che ha spedito in curva un piattone facilitato dall’assist di Anguissa – ancora lontano dai suoi picchi, penalizzato dall’assenza di Lukaku. 

Da applaudire, però, la terza clean sheet consecutiva: Buongiorno e Rrahmani hanno mutato la musica difensiva, un merito enorme per una rosa che ha guidato il campionato senza la coppia titolare. È la solita “coperta corta”: solidità dietro, sterilità davanti. Conte dovrà tessere una “trapunta” che copra l’intero campo, perché chi non risica, non rosica – o, come si dice da noi, “chi nun tene coraggio nun se cocca ch’e femmene belle”. Partenope, città d’amore, non merita questa routine asfissiante.

Ora, estendendo lo sguardo a un parallelo intrigante e un po’ anacronistico, immaginate di sovrapporre questa desolante parità a Rotten.com degli anni ’90 – quel reliquiario digitale del web primordiale, nato intorno al ’95 come un’antologia cinica della banalità umana, dove non c’erano filtri morali né algoritmi benevoli, solo esposizioni crude di fallimenti quotidiani, servite con un’ironia tagliente e distaccata. 

Napoli – Eintracht come rotten.com

Rotten non era un sito di notizie sportive, ma un catalogo di decadenza: immagini di routine urbane degenerate in assurdità, caption lapidarie che smascheravano l’illusione del progresso con un umorismo nero, sofisticato nella sua indifferenza. Non gore esplicito, ma un’ostentazione della mediocrità – come un “buco nero” del browser, dove l’utente si immergeva volontariamente in un voyeurismo intellettuale, confrontandosi con l’ordinario che si fa grottesco.

In questo senso, il nostro 0-0 evoca proprio quell’estetica rotten: il catenaccio dell’Eintracht non è un bunker splatter, ma una barricata burocratica, un “parcheggio” metodico che trasforma la Champions – un tempo arena di aggressività a tutto campo – in una routine asfissiante, simile alle sequenze di stalli urbani su Rotten, dove il traffico quotidiano si cristallizza in un’eterna immobilità. Il possesso napoletano, lento e prevedibile, ricorda quelle caption rotten che deridono l’inefficienza umana: due o tre occasioni come lampi fugaci in un paesaggio grigio, senza la scintilla di una “giocata vincente”. 

Napoli
Scott McTominay e Mario Gotze a contrasto durante Napoli – Eintracht

Hojlund, isolato in profondità, incarna il prototipo dell’uomo solo in mezzo alla folla – abile ma non dialogante, come un personaggio rotten intrappolato in una routine che non evolve, privo della fisicità lukakiana per “aprire” il gioco. E le fasce? La destra in affanno è un cortocircuito, un Di Lorenzo-Politan che inciampa nella stanchezza come in una sequenza di errori banali; a sinistra, Elmas e Gutierrez tessono un contro-narrativa, saltando l’uomo con la grazia di chi evade la monotonia, mentre Lang – il jolly sottoutilizzato – attende il suo momento come un dettaglio nascosto in un frame rotten, pronto a rivelare una crepa nel sistema.

McTominay, poi, è il punchline perfetto: l’eroe che fallisce il facile, spedendo la palla in curva B, evoca quel cinismo rotten dove l’eccezionale si riduce al ridicolo – non un’esplosione drammatica, ma un inciampo quotidiano che smaschera la fragilità. La difesa solida, con Buongiorno e Rrahmani, offre un contrappunto: una clean sheet come un “fossile” intatto in un sito di rovine, un merito che resiste alla decomposizione generale. Ma la “coperta corta” è il vero leitmotiv: Napoli copre il retro, ma lascia esposto il fronte, in un equilibrio precario che Rotten celebrerebbe come metafora della condizione umana – solidi nei confini, ma incapaci di espansione, timorosi di rischiare la giocata per paura del caos.

La differenza, sagace e profonda, sta nel registro: Rotten era un specchio spietato, un web anni ’90 senza redazioni o like, dove il cinismo era l’unica narrazione, un invito a contemplare la desolazione con distacco filosofico. L’analisi azzurra, invece, è un lamento partenopeo – elegante nel suo rammarico, intriso di proverbi e speranza primaverile, che trasforma la delusione in un invito al riscatto. 

Manca il gelo rotten, quel voyeurismo che riduce tutto a routine grottesca senza redenzione; qui, Conte è chiamato a “tessere” non un lenzuolo funerario, ma una trapunta che avvolga l’intera Partenope. Rotten ti lasciava con l’amaro di un’umanità stagnante; questo 0-0, con la sua timidezza, è un invito a più audacia – perché in fondo, chi osa, conquista le “femmene belle”. Forza Napoli: che la prossima sia meno routine, più rivoluzione. Alè!

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