Sembrerà paradossale, ma Antonio Conte dovrebbe – oggi più che mai – ritrovare ancor più amor proprio e resistere alla tentazione di commentare la strategia tattica degli avversari.
Il Conte italiano si risente
Il tecnico leccese, abituato a essere protagonista e punto di riferimento, non ha bisogno di cadere nella trappola del dibattito sterile sul “catenaccio” o sulla presunta mancanza di coraggio dell’Eintracht di Toppmöller.
La strategia tedesca
Perché la verità è semplice: la squadra tedesca ha fatto ciò che ogni formazione di caratura inferiore farebbe davanti a un’avversaria più strutturata tecnicamente e atleticamente. e cioè di anteporre ai 5 corridoi d’attacco del calcio prodotto da Conte 4 linee d’altezza in strutturali, in modo da schermare le linee di passaggio e ridurre i pericoli offensivi. È il gioco delle parti: chi non può vincere con il fioretto sceglie lo scudo.
Mossa perfetta, ma tardiva
Il problema, semmai, è altrove. È nella mancanza – o nel ritardo – della contromossa. Probabilmente quella non pervenuta è stata la contromossa, o quantomeno giunta troppo tardi, solo nel finale (che hanno consentito di creare le occasioni da gol più pericolose), quando era, sì, corretta l’idea di costruire il gioco in ampiezza – come lo stesso tecnico leccese suggeriva ai suoi calciatori nella prima frazione di gioco – ma con i due esterni d’attacco ad agire in un raggio d’azione più dentro al campo, lasciando spazio a mezzali e terzini di proporre nuove transizioni propositive, e offrendo nuove sinergie, e possibilità di dialogo, alla prima punta.
Il calcio codificato di Conte ha dato – e sta dando, giusto per essere chiari – i suoi frutti in campionato, ma è pur vero che la competizione europea offre scenari e situazioni in cui va innescata – in determinate condizioni – la concezione del rischio della giocata. In una partita europea, dove le finestre per colpire durano pochi minuti, la lucidità e la rapidità dell’adattamento contano più della coerenza con il proprio credo tattico.
La capacità di rompere gli schemi, un concetto che, nelle notti di coppa, diventa discriminante.
Pregiudizi mal riposti
Sulle parole del tecnico in merito alla necessità di migliorare la gestione complessiva della squadra – atletica, medica e strutturale – nulla da eccepire. Il discorso fila. Giocare ogni tre giorni impone una programmazione diversa, più moderna e multidisciplinare. Tuttavia, i dati raccontano una realtà meno netta di quella che si vuole far passare.
Negli ultimi cinque anni, nonostante l’alternarsi di allenatori, preparatori e fisioterapisti, l’incidenza degli infortuni è rimasta sostanzialmente invariata.
- Gattuso (2020/21): 55% muscolari, 25% traumi, 20% altri.
- Spalletti I (2021/22): 60% muscolari, 20% traumi, 20% altri.
- Spalletti II (2022/23): 50% muscolari, 30% traumi, 20% altri.
- Garcia-Mazzarri-Calzona (2023/24): 70% muscolari, 15% traumi, 15% altri.
- Conte (2024/25 – 2025/26): 75% muscolari, 15% traumi, 10% altri.
Numeri che parlano chiaro: la “massiccia preparazione” contiana non sembra essere la principale causa di un problema che, a ben vedere, affonda le radici nel tempo. Sono cambiati metodi, staff, figure tecniche, ma le percentuali restano quasi sovrapponibili. L’unico elemento costante, guarda caso, è lo staff medico, per la prima volta finito sotto i riflettori.
A parlar male si fa peccato, ma …
Conte ha ragione a pretendere di più dalla macchina organizzativa, ma dovrebbe evitare di disperdere energie in polemiche che non aggiungono nulla. Perché, al netto delle schermaglie tattiche e delle analisi statistiche, la vera sfida per il tecnico leccese resta sempre la stessa: saper evolvere il proprio calcio senza rinnegare se stesso.
