Le parole di Roberto Fico sullo stadio Maradona vanno oltre la politica. “Sono convinto che vada finanziato”, ha detto il candidato alla presidenza della Regione Campania, ricordando l’appuntamento con Euro 2032 e la necessità di una città “capitale culturale e sportiva del Mediterraneo” di accogliere l’Europa. Un’idea giusta, persino ovvia, ma che da anni si scontra con il muro delle burocrazie, dei veti incrociati, delle incomprensioni istituzionali tra Comune e Aurelio De Laurentiis, una linea di continuità marmorea.
Napoli non può più permettersi di vivere di nostalgie e rammendi. Lo stadio dedicato al più grande di tutti, a Diego Armando Maradona, non è più all’altezza della squadra che porta il suo nome nel mondo. È un impianto vetusto, logorato dal tempo e dalla consueta mancanza di fondi e programmazione, un simbolo che rischia di scivolare nella malinconia se non si troverà il coraggio di immaginare il futuro. La ristrutturazione per le Universiadi è stata una lavata di faccia che non ha risolto problematiche ataviche che richiedono ben altri sforzi.

Fico ha evocato la sua prima volta al San Paolo – quel Napoli-Juventus del 3 novembre 1985, la punizione “impossibile” di Diego, un lampo che smentì le leggi della fisica e accese un popolo intero. È un ricordo privato, ma anche collettivo: ogni napoletano porta dentro di sé un Maradona personale, un momento in cui il calcio si è fuso con la vita. E forse è proprio da qui che bisogna ripartire, dal rispetto per ciò che rappresenta il nome “Maradona”, non solo sulla maglia, ma anche nelle mura che dovrebbero custodirne l’eredità.
Stadio Maradona: un luogo identitario
Il punto non è solo estetico o funzionale. È identitario. L’ex San Paolo, oggi, non è uno stadio europeo: è un impianto di un’altra epoca, lontano dagli standard di comfort, accessibilità e visione che un grande club merita. Eppure, continua a riempirsi, a vibrare, a far tremare i cuori. Un paradosso tutto napoletano, dove la passione sopperisce a ciò che le istituzioni e la progettualità non riescono a dare. Ma è possibile andare avanti su questa china?

È ora di smettere di scaricare responsabilità. Comune, Regione, Governo, società: ognuno deve fare la propria parte, mettendo da parte gli egoismi. De Laurentiis ha il diritto – e il dovere – di chiedere una casa moderna per il suo club. Le istituzioni hanno il compito di garantire che ciò avvenga nel rispetto del territorio, della città e del nome che campeggia su quelle gradinate. L’ipotesi Caramanico – ancora in piedi – deve rappresentare l’ultima spiaggia. Finché si può evitare lo strappo si lavori per rafforzare la tela, non per divaricarla sotto l’incedere martellante delle accuse reciproche.
Fico ha ragione su un punto fondamentale: Napoli deve potersi presentare al mondo, agli Europei del 2032, come una città all’altezza del suo nome in continua ascesa. Ma perché questo accada, serve una visione condivisa, non solo proclami. Perché il “DAM” non può restare un tempio ammaccato, sospeso tra glorioso passato e presente incerto. Un simbolo, per restare eterno, deve sapersi rinnovare.