Le soste per le nazionali, in fondo, servono anche a questo: a lasciare spazio alle parole quando mancano le partite. È il momento in cui il campo tace e, proprio per questo, il rumore di fondo cresce. Le illazioni trovano terreno fertile, gli spifferi diventano venti e ogni dettaglio diventa un indizio. Accade sempre, ma accade soprattutto quando la squadra attraversa un periodo difficile. E il Napoli di Antonio Conte, oggi, sta vivendo una delle sue fasi più complicate da quando il tecnico leccese siede sulla panchina azzurra.
Cinque sconfitte in quindici partite, tra campionato e Champions League, sono numeri che raccontano più di tante parole. Parlano di una squadra in difficoltà d’identità, ancora alla ricerca di sé stessa. Non si tratta soltanto di risultati negativi, ma di un senso generale di fatica. Fatica nel trovare il ritmo, nell’adattarsi alle idee del nuovo allenatore, nell’assimilare principi tattici che richiedono una compattezza e una disciplina che il gruppo, per ora, sembra non avere.

In queste settimane, si è detto e scritto di tutto: che il Napoli sia un cantiere aperto, che alcuni giocatori non abbiano mai davvero sposato il nuovo corso, che l’ingresso dei nuovi volti in estate abbia rotto un equilibrio che fino a poco tempo fa sembrava intoccabile. L’armonia di spogliatoio, quella che era stata una delle armi segrete del Napoli di Spalletti, appare oggi incrinata, e non tanto per divergenze caratteriali o per veri scontri interni, quanto per una naturale perdita di fiducia reciproca.
Conte ha portato con sé la sua impronta, la sua idea di calcio totalizzante, basata sul sacrificio, sull’intensità, sull’obbedienza tattica. Ma il gruppo che ha trovato a Napoli non è quello che aveva forgiato lui stesso alla Juventus o all’Inter. È una squadra ancora in costruzione, fondata su altri principi, cresciuta con un calcio più fluido, più basato sulla libertà d’invenzione e sulla gestione collettiva delle situazioni. Lo sforzo di adattamento, per alcuni, è stato enorme. Per altri, quasi impossibile.
La sosta per le nazionali, in questo contesto, agisce come una lente d’ingrandimento. Quando le partite si fermano, i pensieri si moltiplicano. Le panchine diventano argomento, le espressioni dei giocatori vengono lette come segnali, e l’assenza di risposte immediate dal campo alimenta un clima di sospetto che diventa difficile da contenere. È il classico paradosso del calcio moderno: quando si gioca troppo, si parla di stanchezza; quando non si gioca, si parla troppo.
Eppure, per Conte, questa pausa può anche rappresentare un’occasione preziosa. Il tempo per lavorare con chi è rimasto a Castel Volturno, per ricucire qualche strappo interno, per ridare centralità a un gruppo che ha bisogno di ritrovarsi più che di reinventarsi. L’allenatore conosce bene le dinamiche di un ambiente che vive di passioni assolute: sa che il Napoli non può permettersi di restare nel limbo, né tecnico né emotivo.

Ciò che preoccupa non è tanto la classifica – ancora raddrizzabile – quanto la sensazione che la squadra non abbia ancora una vera identità. Le prestazioni oscillano, la continuità manca, e le stesse partite vinte hanno spesso lasciato la percezione di una fatica strutturale. In mezzo a tutto questo, le voci di spogliatoio, vere o presunte, diventano quasi inevitabili: perché il vuoto lasciato dal campo viene sempre riempito da qualcos’altro.
La sosta è dunque un banco di prova invisibile, ma non meno importante. Serve a capire se Conte riuscirà a trasformare il rumore di fondo in silenzio operativo, se riuscirà a riportare il gruppo sul binario della compattezza. Perché il Napoli, oggi, più che di nuovi schemi, ha bisogno di ritrovarsi come squadra. Le illazioni, si sa, crescono solo dove manca la fiducia. E questo è il primo seme che Conte dovrà far rinascere.
Nel frattempo è arrivata la chiarificazione del presidente Aurelio De Laurentiis che ha blindato la panchina del tecnico salentino. Un punto da cui ripartire, una secchiata di polvere estinguente si polemiche spesso create ad arte e che rischiavano di trascinare la squadra in un vortice senza fine. Si vada avanti. E scordatevi Frattamaggiore…