Napoli

PSV – Napoli, The Day After

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Scritto da Diego Catalano

22 Ottobre 2025

Sì, l’immagine è proprio quella che evoca il titolo: uno scenario post nucleare in cui macerie e devastazioni prendono il sopravvento. Eindhoven è la sconfitta europea più umiliante della storia del Napoli. I biancorossi hanno sganciato ordigni su una squadra che ha retto metà tempo e che, pur andando in vantaggio, aveva offerto segnali di inquietudine: il gol annullato per un offside millimetrico, due calci d’angolo in cui erano emerse lacune posizionali gravi, una parata clamorosa di Milinkovic-Savic che subito dopo ha spento la luce. Come gli altri calciatori di movimento, come chi li dirigeva dalla panchina.

Questa non è un’invettiva, questo non è un j’accuse. Sarebbe comodo, dopo la batosta di ieri sera, lanciarsi in strali atomici come hanno prontamente fatto personaggi autoreferenziali che affollano il web solo per fare disinformazione e cavalcare maschere grottesche. No, non mi piego a questo giochetto acchiappa-interazioni, ma neanche intendo mettere la testa sotto la sabbia senza osservare ciò che sta accadendo al Napoli.

Antonio Conte

PSV – Napoli è solo la punta dell’iceberg

Ieri il problema è deflagrato, ma la miccia era stata accesa già a inizio stagione. Anzi, a voler essere precisi, già durante il ritiro precampionato in cui si subiva gol a ogni incontro. In campionato gli Azzurri hanno veramente convinto contro il Sassuolo e la Fiorentina. Le uniche due trasferte vinte. I primi sono una squadra di livello basso, i secondi si sono scoperti più fragili di un gatto che attraversa una highway americana. Con il Cagliari si è vinto all’ultimo respiro, col Pisa si è rischiato oltremisura. A Milano si è regalato un tempo, con lo Sporting Lisbona la si è recuperata dopo l’ennesima amnesia difensiva. Napoli – Genoa è stato un altro inno alla sofferenza e la sconfitta di Torino ha mostrato un roster incapace di andare a segno. Come era accaduto a Manchester, unica partita in cui le attenuanti valgono concretamente.

In queste partite c’è un filo conduttore mai spezzato: gli Azzurri subiscono (quasi) sempre gol. Praticamente l’opposto di quella squadra che, fino a pochi mesi fa, era risultata la più inscalfibile di tutti i campionati europei. Uno scudetto vinto con sangue e sudore serviti ad alzare rocciose mura di cinta. Che in questo abbrivio stagionale si sono sgretolate come pietra tufacea erosa dalle maree.

Napoli: reparti fatalmente scollati

Riavvolgendo il nastro al disastro del Philips Stadion è emerso un deficit tattico su cui bisogna intervenire subito. E con forza estrema. L’undici, sia con il 4-1-4-1 che col 4-3-3 della ripresa, era sconnesso. La difesa guardava il centrocampo col binocolo, il reparto di mezzo osservava l’unica punta col cannocchiale. Comparti scollati, squadra lunga, tatticamente in balia dell’avversario, fisicamente stanca, moralmente affranta, mentalmente opaca. Queste tendenze s’erano osservate – ovviamente in misura minore e con meno violenza – in altre circostanze. Specie nel primo tempo di San Siro. E infatti un Milan arcigno ne aveva approfittato con un 1-2 annichilente. Almeno in quella circostanza il Napoli ha saputo reagire dominando nella ripresa e offrendo segnali di vigoria sui quali costruire qualcosa. Ma erano fondamenta argillose poiché, da quel momento, complici anche i tanti infortuni, è stata una lenta discesa che ha portato al baratro olandese.

Dov’è il Napoli di Conte che lottava su ogni pallone e che superava le difficoltà anche con mezza squadra fuori andando a vincere uno scudetto clamoroso? Nella serata di Eindhoven la compagine di Mr Conte era sfilacciata non solo verticalmente, ma anche orizzontalmente. C’è un momento, nelle fasi finali del match, in cui Buongiorno è tutto a sinistra e Jesus tutto a destra. Il brasiliano, pressato, è costretto a uno scarico sul compagno di reparto che riceve una palla pericolosa. In quella fattispecie né Di Lorenzo né Gutierrez avevano rinculato per dare manforte ai centrali che concedevano una prateria chilometrica in mezzo all’area di rigore. Roba che non può esistere con Conte, roba che non può esistere nel calcio professionistico. Luce spenta, che va riaccesa immediatamente.

Alessandro Buongiorno

Mercato troppo pingue: una scusa che non regge

Forse c’è un aspetto che spaventa più della prestazione horror di ieri sera: le parole proferite da Conte dopo la partita. Che il buon Antonio non sia un oratore eccezionale è un dato di fatto. Poco male, a un allenatore non si chiede di tenere simposi, si chiede di guidare un gruppo verso il conseguimento dei suoi obiettivi. Quando si leggono le pagelle alle dichiarazioni viene da ridere poiché i primi critici, spesso, non riescono a produrre uno scritto o un commento di senso compiuto.

Ma ieri Conte è stato particolarmente infelice. S’è lamentato di un mercato troppo pingue, lo stesso allenatore che mesi fa si doleva – a giusta ragione – per una rosa cortissima. Sul mercato estivo Conte ha inciso forse più dello stesso Manna. Tranne per Ndoye (altro player diventato fenomeno e che ora fatica maledettamente nei bassifondi della Premier League), il tecnico è stato accontentato su tutte le richieste. Ovviamente è rimasto qualche buco nella rosa dovuto alla contingenza Lukaku. Ma Conte ha compreso e lo ha pubblicamente ribadito in diverse circostanze. Ieri ha alluso ai nuovi che non sono integrati, alla difficoltà nel gestire nove pedine inedite. Concetti deboli, che non convincono, che non possono essere espressi dopo la debacle mortificante. Nove player, anche se migliorassero solo le riserve – e lo fanno ampiamente – non possono mai essere un problema. Figuriamoci se si trasformano in un alibi sbilenco.

Senza la necessità di creare polemiche roventi – non è affatto il momento per disgregare l’ambiente – ma verrebbe da chiedere a Conte perché ha voluto un mercato da 4-3-3 per poi insistere con un modulo che, nei fatti, mortifica le caratteristiche di certi giocatori che in quello schema ci sguazzano come pesci. Il “nuovo Conte”, quello del post anno sabbatico, ha dimostrato una duttilità concettuale straordinaria arrivando a un meritatissimo scudetto. Dov’è finito quell’uomo filosoficamente cangiante? Dov’è finito quel condottiero mentalmente aperto? Il mister è vittima della sua anelasticità. È lui a dover cambiare approccio ancora prima dei suoi uomini. Non ci sono totem, non ci sono dogmi. È calcio, non è religione. Cambiare non è bestemmiare, anzi. Lo faccia, Conte. Dia un segnale all’ambiente e a se stesso perché nulla è perduto, ma il rischio di smarrirsi è dietro l’angolo.

Kevin De Bruyne

Il Napoli è a un bivio

È poco il tempo per leccarsi le ferite. Il Napoli, già oggi, si rivede a Castel Volturno per analizzare la debacle e soprattutto per preparare tre partite chiave: Inter, Lecce e Como prima del match europeo contro l’Eintracht e la trasferta di Bologna che precede la terza pausa per le nazionali. Inutile girarci intorno o ricorrere alla retorica del “c’è tempo”. No, non c’è. Serve una reazione immediata per dimostrare che allenatore e calciatori sono mentalmente presenti a se stessi. Ovviamente sarà necessario ragionare partita per partita senza ricorrere a tabelle o a programmi di medio-lungo periodo. La squadra di Chivu è in salute dopo un avvio poco convincente. 

Il Napoli è in frenata. Ad oggi è forte la sensazione che i nerazzurri partano da assoluti favoriti. Proprio per questo serve un segnale forte da lanciare verso l’interno ma soprattutto verso l’esterno: il Napoli si deve mostrare attivo, vivo, capace di reagire e di rialzarsi dopo sei pugni in pieno volto. Non è retorica, è necessità. Perché certe partite sono detonatori. E possono esserlo in un senso e nell’altro. Possono riaccendere la fiamma della competizione e della consapevolezza; possono, di converso, appiccare il fuoco devastante che lascia il terreno inaridito. Il Napoli è dinanzi a questa forcella: da un lato la ripresa, dall’altro la resa. Scelga quale sentiero percorrere e se ne assuma le responsabilità davanti ai suoi tifosi. 

Eindhoven non è un inciampo, è l’apice di un cammino claudicante. Ora bisogna dismettere le stampelle e iniziare a correre. Perché l’alternativa è allettarsi fino alla fine dell’agonia.


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Questa non è un’invettiva, questo non è un j’accuse. Sarebbe comodo, dopo la batosta di ieri sera, lanciarsi in strali atomici come hanno prontamente fatto personaggi autoreferenziali che affollano il web solo per fare disinformazione e cavalcare maschere grottesche. No, non mi piego a questo giochetto acchiappa-interazioni, ma neanche intendo mettere la testa sotto la sabbia senza osservare ciò che sta accadendo al Napoli.

Antonio Conte

PSV – Napoli è solo la punta dell’iceberg

Ieri il problema è deflagrato, ma la miccia era stata accesa già a inizio stagione. Anzi, a voler essere precisi, già durante il ritiro precampionato in cui si subiva gol a ogni incontro. In campionato gli Azzurri hanno veramente convinto contro il Sassuolo e la Fiorentina. Le uniche due trasferte vinte. I primi sono una squadra di livello basso, i secondi si sono scoperti più fragili di un gatto che attraversa una highway americana. Con il Cagliari si è vinto all’ultimo respiro, col Pisa si è rischiato oltremisura. A Milano si è regalato un tempo, con lo Sporting Lisbona la si è recuperata dopo l’ennesima amnesia difensiva. Napoli – Genoa è stato un altro inno alla sofferenza e la sconfitta di Torino ha mostrato un roster incapace di andare a segno. Come era accaduto a Manchester, unica partita in cui le attenuanti valgono concretamente.

In queste partite c’è un filo conduttore mai spezzato: gli Azzurri subiscono (quasi) sempre gol. Praticamente l’opposto di quella squadra che, fino a pochi mesi fa, era risultata la più inscalfibile di tutti i campionati europei. Uno scudetto vinto con sangue e sudore serviti ad alzare rocciose mura di cinta. Che in questo abbrivio stagionale si sono sgretolate come pietra tufacea erosa dalle maree.

Napoli: reparti fatalmente scollati

Riavvolgendo il nastro al disastro del Philips Stadion è emerso un deficit tattico su cui bisogna intervenire subito. E con forza estrema. L’undici, sia con il 4-1-4-1 che col 4-3-3 della ripresa, era sconnesso. La difesa guardava il centrocampo col binocolo, il reparto di mezzo osservava l’unica punta col cannocchiale. Comparti scollati, squadra lunga, tatticamente in balia dell’avversario, fisicamente stanca, moralmente affranta, mentalmente opaca. Queste tendenze s’erano osservate – ovviamente in misura minore e con meno violenza – in altre circostanze. Specie nel primo tempo di San Siro. E infatti un Milan arcigno ne aveva approfittato con un 1-2 annichilente. Almeno in quella circostanza il Napoli ha saputo reagire dominando nella ripresa e offrendo segnali di vigoria sui quali costruire qualcosa. Ma erano fondamenta argillose poiché, da quel momento, complici anche i tanti infortuni, è stata una lenta discesa che ha portato al baratro olandese.

Dov’è il Napoli di Conte che lottava su ogni pallone e che superava le difficoltà anche con mezza squadra fuori andando a vincere uno scudetto clamoroso? Nella serata di Eindhoven la compagine di Mr Conte era sfilacciata non solo verticalmente, ma anche orizzontalmente. C’è un momento, nelle fasi finali del match, in cui Buongiorno è tutto a sinistra e Jesus tutto a destra. Il brasiliano, pressato, è costretto a uno scarico sul compagno di reparto che riceve una palla pericolosa. In quella fattispecie né Di Lorenzo né Gutierrez avevano rinculato per dare manforte ai centrali che concedevano una prateria chilometrica in mezzo all’area di rigore. Roba che non può esistere con Conte, roba che non può esistere nel calcio professionistico. Luce spenta, che va riaccesa immediatamente.

Alessandro Buongiorno

Mercato troppo pingue: una scusa che non regge

Forse c’è un aspetto che spaventa più della prestazione horror di ieri sera: le parole proferite da Conte dopo la partita. Che il buon Antonio non sia un oratore eccezionale è un dato di fatto. Poco male, a un allenatore non si chiede di tenere simposi, si chiede di guidare un gruppo verso il conseguimento dei suoi obiettivi. Quando si leggono le pagelle alle dichiarazioni viene da ridere poiché i primi critici, spesso, non riescono a produrre uno scritto o un commento di senso compiuto.

Ma ieri Conte è stato particolarmente infelice. S’è lamentato di un mercato troppo pingue, lo stesso allenatore che mesi fa si doleva – a giusta ragione – per una rosa cortissima. Sul mercato estivo Conte ha inciso forse più dello stesso Manna. Tranne per Ndoye (altro player diventato fenomeno e che ora fatica maledettamente nei bassifondi della Premier League), il tecnico è stato accontentato su tutte le richieste. Ovviamente è rimasto qualche buco nella rosa dovuto alla contingenza Lukaku. Ma Conte ha compreso e lo ha pubblicamente ribadito in diverse circostanze. Ieri ha alluso ai nuovi che non sono integrati, alla difficoltà nel gestire nove pedine inedite. Concetti deboli, che non convincono, che non possono essere espressi dopo la debacle mortificante. Nove player, anche se migliorassero solo le riserve – e lo fanno ampiamente – non possono mai essere un problema. Figuriamoci se si trasformano in un alibi sbilenco.

Senza la necessità di creare polemiche roventi – non è affatto il momento per disgregare l’ambiente – ma verrebbe da chiedere a Conte perché ha voluto un mercato da 4-3-3 per poi insistere con un modulo che, nei fatti, mortifica le caratteristiche di certi giocatori che in quello schema ci sguazzano come pesci. Il “nuovo Conte”, quello del post anno sabbatico, ha dimostrato una duttilità concettuale straordinaria arrivando a un meritatissimo scudetto. Dov’è finito quell’uomo filosoficamente cangiante? Dov’è finito quel condottiero mentalmente aperto? Il mister è vittima della sua anelasticità. È lui a dover cambiare approccio ancora prima dei suoi uomini. Non ci sono totem, non ci sono dogmi. È calcio, non è religione. Cambiare non è bestemmiare, anzi. Lo faccia, Conte. Dia un segnale all’ambiente e a se stesso perché nulla è perduto, ma il rischio di smarrirsi è dietro l’angolo.

Kevin De Bruyne

Il Napoli è a un bivio

È poco il tempo per leccarsi le ferite. Il Napoli, già oggi, si rivede a Castel Volturno per analizzare la debacle e soprattutto per preparare tre partite chiave: Inter, Lecce e Como prima del match europeo contro l’Eintracht e la trasferta di Bologna che precede la terza pausa per le nazionali. Inutile girarci intorno o ricorrere alla retorica del “c’è tempo”. No, non c’è. Serve una reazione immediata per dimostrare che allenatore e calciatori sono mentalmente presenti a se stessi. Ovviamente sarà necessario ragionare partita per partita senza ricorrere a tabelle o a programmi di medio-lungo periodo. La squadra di Chivu è in salute dopo un avvio poco convincente. 

Il Napoli è in frenata. Ad oggi è forte la sensazione che i nerazzurri partano da assoluti favoriti. Proprio per questo serve un segnale forte da lanciare verso l’interno ma soprattutto verso l’esterno: il Napoli si deve mostrare attivo, vivo, capace di reagire e di rialzarsi dopo sei pugni in pieno volto. Non è retorica, è necessità. Perché certe partite sono detonatori. E possono esserlo in un senso e nell’altro. Possono riaccendere la fiamma della competizione e della consapevolezza; possono, di converso, appiccare il fuoco devastante che lascia il terreno inaridito. Il Napoli è dinanzi a questa forcella: da un lato la ripresa, dall’altro la resa. Scelga quale sentiero percorrere e se ne assuma le responsabilità davanti ai suoi tifosi. 

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