Nel calcio, gli equivoci tattici sono una costante che attraversa epoche, generazioni e confini. La storia è ricca di esempi in cui la coesistenza di grandi talenti nello stesso undici titolare ha generato più problemi che benefici, rivelando quanto sia sottile la linea che separa l’abbondanza tecnica dal caos tattico.
Dalle scelte coraggiose – e spesso controverse – come l’esclusione di Roberto Baggio nell’Inter di Marcello Lippi, alle celebri staffette tra Mazzola e Rivera nella Nazionale di Valcareggi, fino alle difficoltà di far convivere Steven Gerrard e Frank Lampard nell’Inghilterra di inizio millennio: ogni epoca ha avuto il suo paradosso tecnico.
Proprio quest’ultimo caso, quello dei due simboli del calcio inglese, è stato recentemente ricostruito da The Athletic. Il quotidiano britannico ha ripercorso il lungo dibattito che accompagnò la loro convivenza sotto la guida di Sven-Göran Eriksson, tra il 2001 e il 2006. Eriksson li schierava spesso insieme, ma i risultati furono altalenanti: la squadra soffriva l’assenza di un vero mediano difensivo e finiva per sbilanciarsi, con Gerrard e Lampard più intenti a inseguirsi che a completarsi.
La svolta arrivò solo con l’arrivo di Fabio Capello nel 2008. L’allenatore italiano impose una disciplina tattica ferrea e un’organizzazione più razionale, puntando su moduli come il 4-3-3 o il 4-2-3-1, capaci di dare equilibrio e spazi ben definiti ai suoi uomini migliori. Capello riconobbe l’immenso potenziale dei due, ma seppe ridisegnarli con intelligenza:
- Gerrard fu arretrato o spostato sulla sinistra, nel ruolo di “regista largo”, libero di inserimenti e cross, ma meno sovrapposto al compagno.
- Lampard, invece, restò più vicino alla porta, da trequartista o seconda punta, con alle spalle un mediano puro come Gareth Barry o Michael Carrick.
Il risultato fu un centrocampo a tre ben bilanciato: un frangiflutti, un motore box-to-box e un incursore. Finalmente, i due campioni potevano brillare senza pestarsi i piedi.

Napoli: McTominay – De Bruyne: una coesistenza da registrare
Oggi, a distanza di anni, quel dibattito sembra riemergere sotto nuove vesti nel Napoli di Antonio Conte. Anche qui, la questione non riguarda soltanto i nomi, ma le funzioni e le complementarità. Kevin De Bruyne e Scott McTominay rappresentano due poli diversi di un equilibrio ancora da trovare: talento e razionalità, estro e rigore. Le loro prestazioni altalenanti hanno acceso dubbi e discussioni sulla reale sostenibilità della loro coesistenza nel cuore del progetto tattico del tecnico leccese.
Conte, uomo di principi e di pragmatismo, sa che la chiave non è far convivere due stelle, ma ricostruire una squadra. Riportare compattezza, aggressività e concentrazione: sono queste le basi su cui costruì lo scudetto del suo passato recente, e sono le stesse su cui oggi deve poggiare la rinascita del Napoli.
L’obiettivo non è solo trovare la formula giusta per i nuovi arrivati, ma ricreare quell’unione d’intenti che pare essersi smarrita. Solo allora, forse, il Napoli potrà trasformare un apparente equivoco tattico in una risorsa tecnica.
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