Kevin De Bruyne

Kevin De Bruyne e il silenzio dei mediocri

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Scritto da Diego Catalano

14 Ottobre 2025

Ci voleva poco, a Napoli, per far partire il solito coro dei sapientoni. Quelli che, al primo affondo sbagliato o al fiato corto del pre-campionato, sentenziavano: “È finito”, “non regge più i ritmi”, “è venuto a svernare”. Peccato che Kevin De Bruyne – “De Burger” come è stato etichettato con fastidioso e inutile sarcasmo – abbia risposto come sanno fare solo i fuoriclasse: in campo, con numeri da top (quale è) e un dominio tecnico che ha trasformato ogni dubitatore in ridicolo osservatore di un mondo fittizio. Otto reti e tre assist tra Napoli e Belgio: basterebbe questo per zittire chiunque, ma l’uomo di Drongen è andato oltre, diventando in poche settimane il vero cuore pulsante del nuovo ciclo azzurro.

Arrivato con la nomea di essere “fuori forma”, De Bruyne si è rivelato una garanzia atletica, una macchina di resistenza e intensità, quel calciatore che al City ha ridefinito i parametri della mezzala moderna facendosi “tuttocampista”. Antonio Conte se n’è accorto subito, costruendo intorno a lui un 4-1-4-1 (etichetta tattica usata per comodità) che ne esalta visione, inserimenti e capacità di orchestrare i tempi del gioco. Non più un semplice leader tecnico: oggi Kevin è il metronomo e il detonatore insieme, quello che decide quando accelerare e come far male.

Kevin De Bruyne

E non è un caso che anche Rudi Garcia abbia fatto lo stesso: squadra cucita su misura per esaltare il suo raggio d’azione, con il centrocampo che ruota intorno al suo piede magico come un sistema planetario attorno al sole. D’altronde, quando hai un giocatore così, non costruisci “intorno a lui”, costruisci per lui.

A trentaquattro anni, De Bruyne non sta “resistendo” al tempo: lo sta ammaestrando. Corre, imposta, segna, difende e detta legge come se fosse nel pieno dei venticinque. Gli altri, quelli che lo davano per finito, oggi si aggrappano all’ultima scusa: “Eh, ma è il Napoli”. Come se il Napoli non fosse una piazza che divora i deboli e santifica solo i giganti. E Kevin, qui, è già un gigante.

In fondo, la differenza tra i grandi e i mediocri è tutta lì: i secondi parlano, i primi giocano e determinano. E De Bruyne, in questo momento, gioca come se avesse qualcosa da dimostrare al mondo intero. Solo che non deve dimostrare più niente. Semmai, è il mondo che deve dimostrarsi all’altezza di guardarlo.


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Partenopeo, misantropo, progger talebano
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Ci voleva poco, a Napoli, per far partire il solito coro dei sapientoni. Quelli che, al primo affondo sbagliato o al fiato corto del pre-campionato, sentenziavano: “È finito”, “non regge più i ritmi”, “è venuto a svernare”. Peccato che Kevin De Bruyne – “De Burger” come è stato etichettato con fastidioso e inutile sarcasmo – abbia risposto come sanno fare solo i fuoriclasse: in campo, con numeri da top (quale è) e un dominio tecnico che ha trasformato ogni dubitatore in ridicolo osservatore di un mondo fittizio. Otto reti e tre assist tra Napoli e Belgio: basterebbe questo per zittire chiunque, ma l’uomo di Drongen è andato oltre, diventando in poche settimane il vero cuore pulsante del nuovo ciclo azzurro.

Arrivato con la nomea di essere “fuori forma”, De Bruyne si è rivelato una garanzia atletica, una macchina di resistenza e intensità, quel calciatore che al City ha ridefinito i parametri della mezzala moderna facendosi “tuttocampista”. Antonio Conte se n’è accorto subito, costruendo intorno a lui un 4-1-4-1 (etichetta tattica usata per comodità) che ne esalta visione, inserimenti e capacità di orchestrare i tempi del gioco. Non più un semplice leader tecnico: oggi Kevin è il metronomo e il detonatore insieme, quello che decide quando accelerare e come far male.

Kevin De Bruyne

E non è un caso che anche Rudi Garcia abbia fatto lo stesso: squadra cucita su misura per esaltare il suo raggio d’azione, con il centrocampo che ruota intorno al suo piede magico come un sistema planetario attorno al sole. D’altronde, quando hai un giocatore così, non costruisci “intorno a lui”, costruisci per lui.

A trentaquattro anni, De Bruyne non sta “resistendo” al tempo: lo sta ammaestrando. Corre, imposta, segna, difende e detta legge come se fosse nel pieno dei venticinque. Gli altri, quelli che lo davano per finito, oggi si aggrappano all’ultima scusa: “Eh, ma è il Napoli”. Come se il Napoli non fosse una piazza che divora i deboli e santifica solo i giganti. E Kevin, qui, è già un gigante.

In fondo, la differenza tra i grandi e i mediocri è tutta lì: i secondi parlano, i primi giocano e determinano. E De Bruyne, in questo momento, gioca come se avesse qualcosa da dimostrare al mondo intero. Solo che non deve dimostrare più niente. Semmai, è il mondo che deve dimostrarsi all’altezza di guardarlo.


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