Italo Calvino, nelle sue “Lezioni Americane” – quel ciclo di conferenze mai pronunciate a Harvard, ma eterne nella loro essenza letteraria – ci insegna a navigare il mondo attraverso sei valori: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità e Consistenza. Immaginate di applicare questi principi non alla pagina scritta, ma al campo verde, al Napoli di Antonio Conte, reduce da un 0-0 asfissiante contro l’Eintracht. Quasi si dispiace, in cuor suo, l’allenatore di aver ricevuto una rosa così ampia, un portafoglio gonfio di acquisti che lo costringe a far giocare tutti, a imporre un gioco che, eccome se i giocatori li ha.
D’accordo gli infortuni – muscolari, quasi tutti, eco di una preparazione anni ’80, colpa sua e del suo staff – ma quale società spende 50 milioni per Hojlund dopo 35 per Lukaku (voluto da lui per liberarsi di Raspadori e Simeone, mai impiegati), trattenendo il belga? Quale club ti regala un centrocampo con De Bruyne, McTominay, Lobotka, Anguissa più Elmas (che basta metterlo dentro per vederlo giocare a pallone), Gilmour e via dicendo? E le fasce? Lang, Gutierrez, Olivera, Spinazzola; la difesa con cinque centrali, uno a 30 milioni dopo Rrahmani e Buongiorno; Milinkovic-Savic in porta senza vendere Meret. È una molteplicità calviniana, un universo di opzioni che Conte sembra ignorare, limitandosi a due cambi in novanta minuti, come se temesse di diluire la sua essenza.

Nella Leggerezza, Calvino evoca Ovidio e la metamorfosi: il Napoli dovrebbe fluttuare, evadere dal peso del catenaccio altrui – “L’Eintracht fa barricate, il Como perde tempo” – ma Conte, Rocky Balboa del pallone, preferisce incassare colpi, uscire sfavorito, con alibi pronti. Piacerebbe a Calvino questa leggerezza negata: zero tiri in porta in due partite, schemi invisibili, azioni evanescenti. La squadra è piena di “lungagnoni”, corner tirati malissimo – com’è che con Spalletti si segnava sugli angoli? – e il gioco è pesante, provinciale, vittorie di sofferenza alla Juventus, Chelsea, Nazionale. Mai imporre, mai divertire: la partita, caro Conte, la guardi per il piacere, non per il sudore.
La Rapidità calviniana, quel balzo narrativo à la Pavese, manca nei ripari: solo due sostituzioni contro un 0-0 che urla “vinci!”, nonostante la rosa in “rosso” per stanchezza. È un segnale: Conte non ha fiducia nei rincalzi, brucia i giovani (Marianucci a San Siro a freddo), non fa crescere Hojlund in un vero centravanti. Lukaku segna uno, Hojlund quattro tra coppe e campionato, ma Simeone diluvia altrove, Raspadori era provvidenza – li hai mandati via tu, per scelta.
Esattezza e Visibilità: Calvino cerca precisione geometrica, immagini che si impongono. Qui, zero: fase offensiva anemica, Lang-Neres-Político a secco, conferenze stampa dove rispondi male a domande sacrosante (“Parliamo di attacco?”). L’ambiente unito è una goccia nel mare; critica e osservazioni devono fluire, o annulliamo interviste e dibatti. A 15 partite, zero bel gioco, zero vittorie convincenti: così non va.

La Molteplicità, esplosione di voci come in “Le città invisibili”, è la rosa napoletana: completa, forte, ma non giocata. Conte fa di necessità virtù in emergenza – contropiede all’Inter, carattere – ma quando comanda il gioco? Non è in grado, né di gestire due competizioni. Magari vinceremo, ma alzi la mano chi si diverte: infortuni colpa sua, scuse infinite, un allenatore che sperava in un mercato scarno per alibi facili.
Infine, la Consistenza: Calvino, citando Lucrezio, vuole un “io” solido, coerente. Conte è consistente nel suo mito del combattente, ma il Napoli merita di più: un gioco piacevole, una rosa sfruttata, giovani cresciuti. Partenope non è solo sofferenza; è leggerezza meridionale, rapidità partenopea. Conte, impara da Calvino: la letteratura – e il calcio – è moltiplicità che danza, non pugni al sacco. Altrimenti, questa Champions resta un sogno evanescente. Forza Napoli, ma con leggerezza!
